Sotto Napoli: finalmente abbiamo esaudito il desiderio di visitare le “viscere” della città, quella che può essere definita l’altra Napoli, che si sviluppa in strati che ne raccontano la lunga storia nel sottosuolo.
Sotto il suolo di Napoli c’eravamo già stati nel Rione Sanità quando con il nostro Otto allora cucciolo visitammo le Catacombe di San Gennaro e di San Gaudioso.
Nelle viscere della città
Ma per prima cosa vogliamo dirvi che entrambe le visite possono essere effettuate insieme ai nostri amici a quattro zampe a dimostrazione, ancora una volta, di quanto Napoli sia una città molto petfriendly.
Al tunnel si entra dall’accesso monumentale collocato all’interno del parcheggio Morelli e poi ci si immerge nel sotterraneo attraverso una scala realizzata nel ‘700. Nella visita ci ha accompagnato la brava e preparata Marina che con i suoi racconti ci ha fatto vivere intensamente, epoca dopo epoca, le vicende di questo mondo sotto terra voluto da Ferdinando II di Borbone per congiungere il Palazzo Reale con piazza Vittoria: un percorso militare rapido, in difesa della Reggia, per le truppe nonché una sicura via di fuga per gli stessi monarchi.
Marina ci ha fatto notare le incredibili, per l’epoca, soluzioni tecniche adottate dal progettista per superare problematiche di natura geologica incontrate durante la realizzazione dello scavo. Infatti la galleria passa attraverso i tratti rinascimentali dell’acquedotto della Bolla, con tre ponti e muri per oltrepassare le cisterne e ingegnosi lavori idraulici per consentire il passaggio dell’acqua a quote inferiori rispetto a quella della galleria. Mentre i problemi statici rilevati in corso d’opera furono risolti attraverso archi poggianti su muri a scarpa.
La lunghezza complessiva della Galleria Borbonica si fermò a 431 metri rimanendo incompiuta a causa della partenza prima e della morte dopo del re, non arrivò mai a Palazzo Reale e rimase senza uscita fino alla seconda guerra mondiale. Tra il 1939 e il 1945, la Galleria fu utilizzata come ricovero antiaereo dai cittadini: vi trovarono rifugio tra i 5.000 e i 10.000 napoletani, molti dei quali persero le loro case durante i bombardamenti a tappeto subiti dalla città.
Forte la suggestione che si prova guardando utensili, suppellettili, letti e carrozzine lasciati lì dopo la liberazione della città da parte degli stessi napoletani nelle 4 giornate di Napoli: l’unica a liberarsi autonomamente dal giogo tedesco. Nella luce gialla dell’illuminazione creata sulle tracce di un impianto elettrico installato durante la guerra, si immagina quando l’intermittenza luminosa segnalava la durata dei bombardamenti, come mi raccontava zia Lina, in quegli anni universitaria a Napoli. Gli ambienti ipogei furono dotati di servizi igienici che – come ci ha fatto notare Marina – erano diversi a seconda dei quartieri dei signori o popolari. Insomma il concetto di miseria e nobiltà veniva rispettato anche sotto terra dove i rifugi dapprima utilizzati per emergenza finirono per costituire dimore fisse per chi aveva perso tutto.
Per finire non si può non raccontare la storia de O’ Munaciello che collega la Galleria Borbonica agli ambienti della Napoli Sotterranea che si può visitare tutti i giorni entrando sul lato della chiesa di San Paolo Maggiore. Anche qui i primi a scavare nel sottosuolo per estrarne tufo per templi e palazzi furono i Greci, seguiti dai Romani che crearono una rete di acquedotti alimentata dalle sorgenti del Serino, a 70 km di distanza dal centro di Napoli.
Nella galleria si scende percorrendo una lunga scala che consente di fare una passeggiata nella storia lunga 2000 anni. Nel silenzio rotto solo dai passi che riecheggiano sotto le volte dell’antico acquedotto ci si trasforma in esploratori passando in cunicoli stretti e bassi come facevano i pozzari, coloro che ripulivano i pozzi e i bracci dell’acquedotto e che hanno dato vita alla leggenda del Monaciello. Ma perché veniva chiamato così? Perché per proteggersi dall’umidità si copriva il capo tanto da assomigliare a un piccolo monaco che riusciva a entrare in case e conventi da cui spesso rubava oggetti preziosi che a volte perdeva in altri luoghi.
E si procede per giungere alle vasche di raccolta dell’acqua che ancora oggi sorprendono con il loro fondo color verde smeraldo e tra le testimonianze dei giorni e delle notti trascorse qui da migliaia di napoletani sotto la pioggia delle bombe sganciate dagli aerei durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nati da un’iniziativa alla vigilia dell’Expo 2015 e posizionati a 35 metri di profondità, proteggono le piante da piogge acide, smog e polveri sottili, mentre l’umidità dell’aria pari al 95%, la temperatura e il microclima ne consentono la crescita. La luce solare, invece, è sostituita da quella emessa da speciali lampade.