Sotto il suolo di Napoli

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Sotto Napoli: finalmente abbiamo esaudito il desiderio di visitare le “viscere” della città, quella che può essere definita l’altra Napoli, che si sviluppa in strati che ne raccontano la lunga storia nel sottosuolo.
Sotto il suolo di Napoli c’eravamo già stati nel Rione Sanità quando con il nostro Otto allora cucciolo visitammo le Catacombe di San Gennaro e di San Gaudioso.

Nelle viscere della città

Ma non avevamo mai esplorato Napoli Sotterranea e non eravamo mai passati sotto le volte della Galleria Borbonica che si sviluppano sotto i più importanti monumenti della città con storie parallele sin dall’antichità.
Ma per prima cosa vogliamo dirvi che entrambe le visite possono essere effettuate insieme ai nostri amici a quattro zampe a dimostrazione, ancora una volta, di quanto Napoli sia una città molto petfriendly.

La Galleria Borbonica, aperta dal venerdì alla domenica, offre tre possibilità di percorso: quello Standard, Avventura e Speleo Light. Noi abbiamo scelto il percorso Standard per poterlo sperimentare insieme al nostro Otto che non avrebbe potuto seguirci negli altri due che prevedono l’imbarco su una zattera per navigare sulla superficie dell’acqua di falda della cisterna e passeggiate negli stretti cunicoli dell’acquedotto della Bolla come veri speleologi con tanto di elmetto con luce frontale.

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Al tunnel si entra dall’accesso monumentale collocato all’interno del parcheggio Morelli e poi ci si immerge nel sotterraneo attraverso una scala realizzata nel ‘700. Nella visita ci ha accompagnato la brava e preparata Marina che con i suoi racconti ci ha fatto vivere intensamente, epoca dopo epoca, le vicende di questo mondo sotto terra voluto da Ferdinando II di Borbone per congiungere il Palazzo Reale con piazza Vittoria: un percorso militare rapido, in difesa della Reggia, per le truppe nonché una sicura via di fuga per gli stessi monarchi.

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Gli spazi del tunnel furono utilizzati fino al 1970 come Deposito Giudiziale Comunale e vi venne immagazzinato tutto ciò che fu estratto dalle macerie causate dai duecento bombardamenti subiti da Napoli durante il secondo conflitto mondiale e anche recuperato da crolli, sfratti e sequestri. Solo nel 2007 i geologi scoprirono un passaggio murato e si cominciò a scavare per riportare alla luce il tunnel borbonico celato al di sotto di cumuli di detriti alti fino a 8 metri.

Nel primo tratto si notano statue di epoche diverse tra le quali il monumento funebre del capitano Aurelio Padovani, fondatore del partito fascista napoletano morto nel crollo del balcone da cui arringava la folla, ritrovata sul cofano di una vecchia auto. Che non è l’unica! Infatti sono tantissime le auto e le moto d’epoca in queste gallerie sotterranee scavate a cominciare dal 1853 su progetto dell’architetto Errico Alvino a cui era stata assegnata dal re la costruzione del viadotto sotterraneo per scopi militari che però furono camuffati annunciando l’apertura di botteghe lungo il tragitto per non far trasparire l’unico scopo: quello di scampare a possibili rivolte popolari dopo il timore indotto dai moti del 1848.

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Marina ci ha fatto notare le incredibili, per l’epoca, soluzioni tecniche adottate dal progettista per superare problematiche di natura geologica incontrate durante la realizzazione dello scavo. Infatti la galleria passa attraverso i tratti rinascimentali dell’acquedotto della Bolla, con tre ponti e muri per oltrepassare le cisterne e ingegnosi lavori idraulici per consentire il passaggio dell’acqua a quote inferiori rispetto a quella della galleria. Mentre i problemi statici rilevati in corso d’opera furono risolti attraverso archi poggianti su muri a scarpa.

La lunghezza complessiva della Galleria Borbonica si fermò a 431 metri rimanendo incompiuta a causa della partenza prima e della morte dopo del re, non arrivò mai a Palazzo Reale e rimase senza uscita fino alla seconda guerra mondiale. Tra il 1939 e il 1945, la Galleria fu utilizzata come ricovero antiaereo dai cittadini: vi trovarono rifugio tra i 5.000 e i 10.000 napoletani, molti dei quali persero le loro case durante i bombardamenti a tappeto subiti dalla città.

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Forte la suggestione che si prova guardando utensili, suppellettili, letti e carrozzine lasciati lì dopo la liberazione della città da parte degli stessi napoletani nelle 4 giornate di Napoli: l’unica a liberarsi autonomamente dal giogo tedesco. Nella luce gialla dell’illuminazione creata sulle tracce di un impianto elettrico installato durante la guerra, si immagina quando l’intermittenza luminosa segnalava la durata dei bombardamenti, come mi raccontava zia Lina, in quegli anni universitaria a Napoli. Gli ambienti ipogei furono dotati di servizi igienici che – come ci ha fatto notare Marina – erano diversi a seconda dei quartieri dei signori o popolari. Insomma il concetto di miseria e nobiltà veniva rispettato anche sotto terra dove i rifugi dapprima utilizzati per emergenza finirono per costituire dimore fisse per chi aveva perso tutto.

Sui muri le scritte che testimoniano questa vita sotto il suolo hanno permesso di rintracciare persone che hanno raccontato le loro esperienze ricordando i momenti brutti dei bombardamenti, degli odori intensi dovuti all’ammasso di gente e alle condizioni igieniche precarie, ma anche la gioia infantile di poter giocare senza controllo. E poi le curiosità, quelle che rimangono più impresse dando uno spaccato della vita qui sotto: i contrafforti aggiunti per otturare le aperture di areazione divenute pericolose per l’accesso degli ordigni e le mappetelle, involucri di stoffa in cui venivano conservate le cose più preziose e il cibo, riunite in un luogo comune, che potevano essere condivise ma non furono mai rubate: la vita sotto terra in questo era molto diversa da quella in superficie perché la solidarietà univa le persone.

Per finire non si può non raccontare la storia de O’ Munaciello che collega la Galleria Borbonica agli ambienti della Napoli Sotterranea che si può visitare tutti i giorni entrando sul lato della chiesa di San Paolo Maggiore. Anche qui i primi a scavare nel sottosuolo per estrarne tufo per templi e palazzi furono i Greci, seguiti dai Romani che crearono una rete di acquedotti alimentata dalle sorgenti del Serino, a 70 km di distanza dal centro di Napoli.

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Nella galleria si scende percorrendo una lunga scala che consente di fare una passeggiata nella storia lunga 2000 anni. Nel silenzio rotto solo dai passi che riecheggiano sotto le volte dell’antico acquedotto ci si trasforma in esploratori passando in cunicoli stretti e bassi come facevano i pozzari, coloro che ripulivano i pozzi e i bracci dell’acquedotto e che hanno dato vita alla leggenda del Monaciello. Ma perché veniva chiamato così? Perché per proteggersi dall’umidità si copriva il capo tanto da assomigliare a un piccolo monaco che riusciva a entrare in case e conventi da cui spesso rubava oggetti preziosi che a volte perdeva in altri luoghi.

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E si procede per giungere alle vasche di raccolta dell’acqua che ancora oggi sorprendono con il loro fondo color verde smeraldo e tra le testimonianze dei giorni e delle notti trascorse qui da migliaia di napoletani sotto la pioggia delle bombe sganciate dagli aerei durante la Seconda Guerra Mondiale.

Partecipare a quest’escursione non vuol dire solo compiere un viaggio lungo un tragitto a 40 metri di profondità tra cunicoli e cisterne: significa immergersi completamente nella storia della città di Napoli sino ai giorni nostri che sono testimoniati dagli Orti Ipogei.
Nati da un’iniziativa alla vigilia dell’Expo 2015 e posizionati a 35 metri di profondità, proteggono le piante da piogge acide, smog e polveri sottili, mentre l’umidità dell’aria pari al 95%, la temperatura e il microclima ne consentono la crescita. La luce solare, invece, è sostituita da quella emessa da speciali lampade.

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Quando si riemerge il chiasso e la luce stordiscono quasi, ma la visita non è finita perché dopo l’escursione sotto Napoli si visitano i resti dell’antico Teatro greco-romano, conosciuto anche come Teatro di Nerone, inglobato nel XV secolo da abitazioni. E proprio all’interno di un “basso”, tipico appartamento napoletano, si cela il teatro noto per la sua eccezionale capienza di 5 mila spettatori: basta spostare un letto e aprire una botola per accedere ai corridoi che Nerone percorreva per accedere al proscenio. Non ne resta molto ma toccarne i muri suggestiona e ci si immagina spettatori di uno spettacolo, magari proprio quello durante il quale ci fu un violentissimo terremoto che l’imperatore attribuì agli dei in segno di apprezzamento alla sua arte. Non si registrarono morti e feriti: il teatro resse benissimo e rimase in piedi!

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Rosalia
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