Le Tavole di San Giuseppe a Minervino di Lecce

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Tavole di San Giuseppe: la prima volta ne ho sentito parlare nel 2014 quando sono stata chiamata a partecipare come “santa” alla grande tavola allestita in piazza a Minervino di Lecce. A distanza di dieci anni sono tornata insieme a Michele nel piccolo paese nei pressi di Otranto per partecipare alle manifestazioni legate a questo antico rituale su invito di Michele Bruno, deus ex machina del Mercatino del Gusto che si svolge ogni anno a Maglie in agosto.

Tra rito, devozione e folklore

Infatti, dallo scorso anno gli organizzatori del Mercatino si occupano anche della divulgazione della tradizione delle Tavole di San Giuseppe a Minervino di Lecce invitando comunicatori, giornalisti e influencer a partecipare a visite e degustazioni. E dal 17 al 19 marzo di quest’anno tra questi ci siamo stati anche noi.

Tavole di San Giuseppe

Prima di raccontarvi la nostra esperienza è opportuno sottolineare che quelle trasmesse da questa tradizione, sono emozioni che vanno provate in prima persona perché esporle per iscritto o tramite le fotografie non consente di viverle appieno con tutto il calore e la devozione che le accompagnano.

L’usanza ha origini molto antiche e si ripete ogni anno nei giorni precedenti il 19 marzo con la prepazione di sontuose tavolate ricche di cibi che vanno condivisi con amici, parenti, conoscenti e sconosciuti come noi. Cosa accade? In onore del Santo, per grazia ricevuta o per chiederne l’intercessione in una causa, molte famiglie portano in tavola il cibo preparato secondo antiche ricette sulle tovaglie più belle su cui vengono collocati fiori, piante, addobbi, candele.

Raccontano che il rito, dalle origini ancora oscure come è stato evidenziato nel convegno di domenica 17 marzo svoltosi nell’ex asilo Scarciglia in presenza del sindaco Ettore Carroppo, Don Matteo Brunetta parroco di San Michele Arcangelo e Salvatore Santese Presidente Associazione Mercatino del Gusto di Maglie, ebbe origine per rimediare a quanto accadde a Giuseppe e Maria a cui non furono offerti cibo e riparo per la nascita di Gesù.
Lo spirito della festa è la condivisione attraverso l’ospitalità, da garantire a chiunque voglia sedersi a tavola.

Tavole di San Giuseppe

Questa tradizione, sconosciuta ancora oggi a molti salentini, è diffusa in provincia di Lecce intorno a Otranto tra Giurdignano, Uggiano La Chiesa, Casamassella, Minervino, San Cassiano, Otranto, Poggiardo, Minervino e le sue frazioni Cocumola e Specchia Gallone. Ma è portata avanti anche in provincia di Taranto a Sava, San Marzano e Lizzano e a Erchie, San Donaci e San Pietro Vernotico nella provincia di Brindisi.

Tavole di San Giuseppe

Tornando all’origine, c’è chi afferma che risalgano ai tempi dei monaci basiliani che offrivano riparo e pasti caldi alla povera gente. Altri le datano al Medioevo quando i nobili offrivano da mangiare alla gente delle loro terre.
La nostra partecipazione alla tre giorni organizzata dal Mercatino del Gusto ci ha portato di casa in casa, per sbirciare la preparazione dei piatti a cui si dedica tutta la famiglia, e ad ammirare le Tavole di San Giuseppe imbandite di tutto punto prima di essere consumate a pranzo nel giorno dedicato al santo.

Ma ci ha anche consentito di partecipare a due interessanti Gustolab dedicati al comfort food per eccellenza, la pasta nella declinazione fresca di Pasta d’Elite e secca del Pastificio Benedetto Cavalieri, e alle prospettive future relative al cibo con protagonisti i legumi Calò&Monte, gli ortaggi di Vizzino, l’Uovo Perfetto di Giulio Apollonio e il pane del panificio Caroppo, ingredienti che sono stati perfettamente integrati dalla Cuoca Itinerante Salentina Alessandra Ferramosca nella sua versione dell’acquasale pugliese.

Tavole di San Giuseppe

Il sublime raggiunto dal gusto è stato amplificato dalle parole dello storico Gino Dimitri che ha incantato il pubblico presente citando la poesia di Vittorio Bodini dedicata a Cocumola: “Un paese che si chiama Cocumola è come avere le mani sporche di farina e un portoncino verde color limone”, portandoci poi nel vivo della tradizione delle Tavole di San Giuseppe profondamente legate alla terra, ai suoi prodotti, ai piatti contadini che raccontano emozionando l’identità di un territorio. Dove un posto fondamentale viene occupato da pane e pasta, il primo midollo delle genti come scriveva Omero, e la seconda declinata in 3 tipologie: fresca, secca e la “massa” preparata con grano tenero e che deve cuocere nel tempo di un Padre Nostro.

Tavole di San Giuseppe

Perché non è solo la scelta dei piatti che contempla la presenza di pietanze cotte o crude a contraddistinguere questa festa bensì il fatto che le preparazioni impegnano per più giorni e vanno sempre associate alla preghiera. Ma cosa si trova sulle tavole intorno all’immagine del santo, circondata da fiori e ceri accesi?

Innanzitutto la “massa”, impastata, tagliata a striscioline e messa ad essiccare prima di essere lessata insieme ai “mugnoli” o piccoli broccoli salentini, i ceci, il pepe, la cannella, i chiodi di garofano e la mollica di pane fritta. Si versa poi nei “limmi”, ampi recipienti di creta, e si lascia confessare, ossia insaporire.

Si preparano anche i “vermiceddhi” e non mancano mai “pittule”, pesce fritto, rape, “stuccapesce” come viene chiamato il baccalà cucinato in umido, “pampasciuni”, maccheroni con il miele, vino, arance, finocchi, cartellate, fritti o “purciddruzzi” e, naturalmente, il pane in forma di grande ciambella con simboli sacri: tre palle a rappresentare la Trinità per Gesù Bambino, il bastone per San Giuseppe, la corona del rosario per la Madonna.

I commensali, a seconda del voto espresso, possono essere da un minimo di 3 a un massimo di 13, sempre in numero dispari. E chi prepara per il numero massimo dei santi provvede alla realizzazione di ben 169 piatti. E c’è un rito preciso anche per questa: il 12 marzo s’impasta la farina per i vermiceddhi, il 14 si mettono a bagno i lampascioni e lo stoccafisso, il 15 i ceci, il 17 si puliscono rape, cavoli e cavolfiori, il 18 si cucinano le verdure, lo stoccafisso, la pasta con il miele, il pesce e si friggono le pittule. Tutto, infatti, deve essere pronto per la sera della vigilia, quando le famiglie iniziano a cucinare l’ultima pietanza, la “massa” di cui una parte è riservata esclusivamente al Santo e non può essere toccata, l’altra alla gente che per tutta la notte e la mattina seguente passa di casa in casa.

Tavole di San Giuseppe

Il rituale vero e proprio inizia a mezzogiorno in punto del 19 marzo, quando i Santi si riuniscono intorno alla tavola. A dettare i tempi è San Giuseppe con un bastone decorato con un giglio: inizia con l’assaggio della prima pietanza e continua per dare il permesso di procedere con le altre portate.

Tavole di San Giuseppe

Assistere a questo rito, che precede la spettacolarizzazione della festa con la Tavola che si tiene la sera in piazza in cui i Santi sono persone invitate dal Sindaco e coinvolte dal Mercatino del Gusto, fa comprendere quanto sia radicata la cultura dell’accoglienza da queste parti. Le Tavole di San Giuseppe nascono per offrire cibo ai bisognosi per il voto fatto al santo a cui si dedica la fatica ripagata dalla fede. E anche chi vi partecipa come mero spettatore si sente intimamente coinvolto.

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