Seppanibale, una gemma longobarda in campagna

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Seppanibale è un tempietto con due cupolette che non sfugge a un occhio attento percorrendo la statale 16. Si raggiunge dalla complanare in direzione contrada Fascianiello, sulla vecchia strada che collega Fasano a Monopoli. Due colonne all’inizio di un percorso sterrato indicano il viottolo che conduce a destinazione. La chiesetta appare da lontano in tutta la sua semplicità e bellezza tra la campagna coltivata e la masseria da cui prende il nome.

Il tempietto di Seppanibale a Fasano

Seppanibale

A questo punto chiudete gli occhi e immaginate di tornare indietro a quasi 1300 anni fa. La struttura è infatti databile intorno al 780 quando la Puglia era contesa tra Bizantini e Longobardi. Un periodo molto travagliato caratterizzato da passaggi di genti diverse: sullo stesso terreno dove poggiano i vostri piedi sono state lasciate orme dai soldati del Ducato di Benevento della Longobardia Minor che si sovrappongono a quelle delle truppe dell’imperatore bizantino, dei monaci provenienti da est e del temibile invasore saraceno.

Seppanibale

Riaprendo gli occhi vi troverete dinanzi a Seppanibale, una chiesetta isolata nella campagna nei pressi della Masseria Seppannibale Grande dalla pianta quadrangolare con muri di colore grigio in tufo e roccia calcarea: uno dei primi tempietti fatti costruire dal popolo germanico in Puglia dopo che si convertì al Cristianesimo, sul modello di Sant’Ilario a Porta Aurea che si trova a Benevento.

Ma prima di vistare il piccolo edificio noterete che nella zona antistante sono emerse tracce di un abitato tardo antico che è stato datato tra il IV e l’VII secolo. Dal 2003 al 2006 si sono svolte quattro campagne di scavo che hanno fatto emergere le strutture che si appoggiavano su muri di età precedenti molto probabilmente di età romana, per il ritrovamento di monete degli imperatori Vespasiano, Antonino Pio e Commodo. Al di sotto dell’edificio sacro sono state rinvenute tracce di muratura con la presenza di resti animali, testa di un cervo, capretta e capro con nella bocca un chiodo di bronzo, una moneta e nei pressi una lucerna. Probabilmente la zona venne frequentata dunque già in età tardo imperiale e potrebbe aver avuto relazioni con il vicino centro costiero di Egnazia.

Seppanibale

Con un ampio salto temporale dall’impero romano alla dominazione longobarda torniamo al presente e al cospetto del tempietto a tre navate e due campate, coperto, sulla navata centrale, da due cupolette rette da pilastri semplici e, sulle laterali, da rudimentali volte a quarto di cerchio.

Sulle pareti interne ci sono ancora tracce di una decorazione con un raro ciclo di illustrazioni dell’Apocalisse di San Giovanni. Se ciò ne rende piuttosto certa la datazione è ancora incerta l’intitolazione. Infatti il nome con cui il tempietto è oggi conosciuto, Seppanibale, lo deve al soprannome del suo storico proprietario, Giuseppe Annibale Indelli, ma ancora non si sa se la chiesa fosse dedicata a San pietro Veterano o a Santa Maria.

Ciò che la rende un tassello fondamentale della storia e dell’architettura pugliese è che rimane l’unico esempio superstite di un tipo di costruzione elaborato nella Puglia longobarda, forse su modelli orientali, che si sarebbe poi sviluppato in seguito nel corso dell’XI e XII secolo con esempi a Valenzano nella chiesa di Ognissanti di Cuti, a Conversano in San Benedetto e a Molfetta in San Corrado Vecchio.

Seppanibale

Scampata ai periodi più travagliati per la nostra regione, dal conflitto tra Bizantini e Longobardi nel quale si inserirono i Franchi dell’impero d’Occidente, alle scorrerie dei saraceni che culminarono con la distruzione di Brindisi e la devastazione del santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo fino alla conquista normanna, suggellata nel 1071 dalla presa di Bari, di Taranto e di Otranto, Seppanibale si presenta come un gioiello nascosto collocato su un terreno di proprietà privata donato dall’ultima discendente della famiglia Calefati, Anna, alla Diocesi di Conversano-Monopoli.

Sull’entrata c’è un architrave con una piccola croce che assomiglia a un fiore. L’interno è molto ricco tra grandi archi, decorazioni e affreschi su tutte le pareti in cui a predominare sono i colori oro, rosso e blu. Le tre navate sono divise da massicci pilastri su cui sono collocati capitelli decorati con motivi di foglie.

Nella navata centrale, al di sotto delle due cupolette si trovano le “Sette lampade” che ricordano il candelabro d’oro che si trovava nel Tempio di Gerusalemme: della scena originaria ne rimangono visibili quattro realizzati in giallo ocra, posti tra due drappi laterali. Sotto colpisce l’attenzione la scena della “Donna insidiata dal drago con le sette teste”, sicuramente l’immagine più suggestiva, in cui c’è Maria con ali d’aquila e un abito azzurro e ai cui piedi si trova un fiore rosso a simboleggiare il Figlio di Dio.

Delle quattro nicchie su cui si imposta la cupola conservano la decorazione originaria quella che presenta la figura di una santa martire con una corona perlinata tra le mani, sulla testa una piccola coroncina a tre apici e alle orecchie grossi orecchini ad anello con tre pendagli, e quella di una figura maschile aureolata, che dovrebbe essere un santo diacono.

Uscendo torniamo nel XXI secolo con il vento che ci porta il rumore delle auto che sfrecciano sulla statale 16 ma con ancora negli occhi le meraviglie pittoriche nella piccola gemma del tempietto di Seppanibale.

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