A tavola: non pensate anche voi che sia il miglior modo di fare la conoscenza di un territorio? Perché a tavola non giungono solo piatti, cibo e companatico ma soprattutto si intrecciano le storie alla base degli ingredienti che nel tempo sono entrati a far parte della cucina tradizionale di un luogo.
A tavola con la storia
Così per parlare della nostra tavola, quella pugliese, una delle più gustose e complete d’Italia, bisogna partire dagli aspetti legati al clima, al mare e alla campagna ma poi è indispensabile approfondire gli elementi culturali, determinati dalla permanenza in loco delle più varie signorie straniere.
Basti pensare ai fasti della corte imperiale del grande Federico II di Svevia, al quale tanto deve la gastronomia dell’intera regione.
Le abitudini alimentari pugliesi sono state influenzate dai tanti paesaggi su questa area spesso considerata una terra di conquista. Tanti i debiti alimentari della gente di Puglia: dalle incursioni saracene alle signorie spagnole e francesi, dai traffici marittimi con le vicine genti slave, turche e greche, fino alle influenze delle grandi dominazioni come quelle romane, bizantine e normanno-sveve.
Sono ancora oggi ben visibili e profondamente radicati nella tradizione i segni di questi passaggi sulla nostra tavola.
Così, un buon piatto di riso patate e cozze, definito “tiella barese” rimette il suo debito verso la più ricca versione spagnola denominata “paella” e nata a València, mentre la gustosa parmigiana di melanzane ha strette analogie con il pasticcio greco, ma di origine araba, chiamato “moussaka”. Ma gli esempi richiederebbero fiumi di inchiostro, tante e tali sono le contaminazioni tra popoli e usanze a tavola sui deschi di Puglia.
Accanto alla cucina più povera e tradizionale, merita una citazione quella più ricca ed elaborata, per i pochi eletti invitati a fastose cerimonie e sontuosi banchetti.
Supremi esempi di questa “alta cucina”, che occupano un posto di prestigio nella storia non solo gastronomica della Puglia, sono i ricchissimi e succulenti piatti preparati per il banchetto di nozze organizzato per la Duchessa di Bari Bona Sforza in sposa al re di Polonia Sigismondo I.
Il menu per il banchetto nuziale, che si racconta durò nove ore, fu tutto o quasi barese, con piccoli omaggi agli ospiti più illustri con l’inserimento di piatti spagnoli, ma anche polacchi in onore del paese che avrebbe accolto Bona Sforza come regina.
E, ancora, milanesi e napoletani, in ricordo delle origini della duchessa, nata a Vigevano da Isabella d’Aragona, figlia del re di Napoli Ferrante e duchessa di Milano e di Bari, e da Gian Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano.
Si narra che prima del banchetto nuziale ce ne fu un altro nel Castello Svevo di Bari in onore della regina Isabella d’Aragona in cui apparvero per la prima volta le orecchiette, che poi vennero servite in oltre cinquecento pietanze diverse nel pranzo offerto per il matrimonio della duchessa Bona Sforza in partenza per Napoli.
Una descrizione dettagliata del pranzo nuziale svoltosi a Castel Capuano è giunta fino a noi grazie all’opera di Luigi Sada “Ars coquinaria barensis al banchetto nuziale di Bona Sforza nel 1517”.
Fu servito secondo l’ordine in voga nel Rinascimento, per cui a tavola arrivarono prima i cosiddetti “servizi di credenza”, comprendenti piatti freddi, e poi i “piatti di cucina”, con portate calde.
Il pranzo si apriva con un antipasto di dolce di pinoli, farina e zucchero chiamato “pignolata”, con un’insalata d’herbe composta da ravanelli, lampascioni e lattughetta e con una gelatina di brodo grasso rappreso, condensato, raffreddato e poi tagliato a pezzi.
A ciò faceva seguito un bollito di vitella con “biancomangiare”, un piatto già molto caro all’imperatore Federico II, a base di pezzi di pollastre cotti in latte di mandorle.
Sulla tavola apparivano, poi, carni di piccione e arrosti vari con “salza de vino agro”, pizze sfogliate a base di “lagane in umido di zafferano, bollito “selvaggio” con manicaretti brodosi e piccanti, pasticci di carne con contorni di olive pugliesi.
Uno squillo di tromba focalizzava l’attenzione dei presenti a tavola su una delle portate più scenografiche di tutto il pranzo nuziale: i “pavoni con la sua salsa”.
Non mancavano pizze fiorentine che il ricettario barese indica come una “cassata de butirro misto a modica de pane, con zucchero arrifilato suso”. A queste seguivano l’arrosto “selvaggio” con strangolapreti, una sorta di gnocchi di pasta conditi con sugo di selvaggina come lepri, tortore, quaglie, tordi e beccafichi, e le “pastidelle de carne”, strette parenti delle moderne polpette in umido. In omaggio agli ospiti polacchi veniva servita la “zuppa nanna”, di origine nordica, mentre con riguardo a quelli spagnoli compariva in tavola “l’almongiavare”, una torta di farina e formaggio molto in voga in Spagna. Le portate comprendevano ancora arrosto di fagiano, capponi frollati e coperti da un leggero pasticcio, conigli “con suo sapore”, starne con “lemoncelle sane”.
Il tutto inframezzato da pizze bianche, focacce dolci che le monache di Santa Scolastica preparavano spesso per la duchessa Isabella, madre della sposa, gelatina in “gotti” cioè filata in bicchieri di cristallo, “guanti” una sorta di pasta ripiena di carni, pasticci “de cotogne” ovvero pezzi di cotognata con zibibbo, e pizze “paonazze” colorate con rosoli.
Per concludere, venivano offerte “pastidelle de zucchero per tutte le tavole”, confezionate con latte di pinoli, mandorle e zucchero, “tartelle per tutte le tavole”, paste dolci secche e castagne giubellate e caramellate, gli antenati dei marron glacés.
Non potevano mancare “nevole et processa”, le cartellate del tempo che anche allora rappresentavano il dolce natalizio pugliese più tipico, “li confetti” e la “copeta”, il torrone di cui Bona Sforza era particolarmente ghiotta.
Una nota di colore: all’altezza della festa e della ricca tavola anche l’abito indossato dalla sposa: di raso turchino e cosparso di api d’oro e di perle, completato da una cuffia tempestata d brillanti di cui è stato tramandato anche il costo, ben settemila ducati.
Del resto Bona Sforza sarebbe diventata regina di un regno potente ed esteso, che comprendeva all’epoca la Lituania, parte della Bielorussia e dell’Ucraina, in cui fu molto amata.
Ed è grazie a lei che venne esportata per la prima volta nell’est Europa la cucina italiana. Infatti la regina portò con sé i cuochi italiani, molti dei quali baresi, con tutte le loro ricette. Quella che più si diffuse fu l’insalata di verdure miste alla quale fu aggiunta dopo la maionese: fu così trasformata in insalata russa e come tale reimportata in Italia.