Come ripartirà il turismo: ne parliamo con Marina Lalli di Federturismo

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Difficile trovare note positive nell’era Covid. Soprattutto nel settore del turismo, sicuramente una delle vittime più illustri della pandemia. Ma ci provo, cercando di fare al contempo un punto di qual è e quale sarà la situazione, con Marina Lalli, presidente di Federturismo. Conoscendola da anni mi permetto di darle del tu.

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Benvenuta Marina nei nostri Incontri, che da quasi un anno sono per la maggior parte a distanza per ovvi motivi.

Quale sarà il futuro del turismo?

Partiamo dai numeri. Quali e quante le perdite stimate per il turismo in Italia?
Il settore turistico è quello che ha subito i danni maggiori dalla pandemia, a livello nazionale, europeo e mondiale. Ad oggi l’industria del turismo ha perso 70 miliardi di euro e intere filiere sono ferme (con una perdita complessiva per il 2020 che si attesta mediamente sul 70%) ormai da quasi un anno e purtroppo non vedono all’orizzonte segnali immedati di ripartenza. Temiamo che per le PMI turistiche il tasso di mortalità possa raggiungere il 40% dell’offerta complessiva, con punte dell’80% per settori come le agenzie di viaggio e i tour Operator o del 60% per quelle della cultura, della ristorazione e dell’intrattenimento.

Dati i numeri in negativo degli arrivi internazionali, cosa si può fare per promuovere il turismo interno?
Nel 2020 abbiamo assistito ad un crollo degli arrivi internazionali che si attesta tra il 70 e il 75% e siamo stati il quarto Paese europeo dopo Spagna, Francia, Germania ad aver subito le maggiori perdite a causa della mancanza di turisti dall’estero. Considerata l’incertezza delle prospettive è ragionevole ritenere che anche nei prossimi mesi il nostro sarà un turismo prettamente interno per il quale sarà indispensabile un approccio strategico e un nuovo sguardo sul mercato. Dovremo privilegiare l’Italia meno nota, le attività open air e il turismo lento puntando su destinazioni dove il rischio di assembramenti è inferiore. Sarà un’occasione per valorizzare un turismo più attento alla sostenibilità ambientale e sociale.

E come si può voltare pagina dopo la sofferenza imposta al settore da questa pandemia? Ma, soprattutto, quando sarà possibile farlo?
Se tutto andrà bene con l’avvio delle campagne di vaccinazione nutriamo la speranza di poter cominciare ad intravedere i primi movimenti già a partire da quest’estate anche se sarà ancora un turismo prettamente domestico. Mentre per un ritorno del turismo complessivo ai livelli del 2019 occorrerà attendere almeno fino al 2023. Ai viaggiatori oggi disorientati servono segnali positivi e si rivela indispensabile cominciare a prevedere un ripristino dei viaggi organizzati con la riapertura coordinata del traffico internazionale sulla base di corridoi, protocolli condivisi e patentini vaccinali perché, nonostante le limitazioni e l’incertezza del momento, il desiderio di viaggiare degli italiani è grande.

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Quali sono le proposte di Federturismo per poter trasformare lo stop e il periodo di riflessione che ne è seguito in opportunità per il turismo?
In questo quadro di allarme profondo è evidente che guardiamo al Recovery Plan con grandi speranze e profonde aspettative. Pur consapevoli che si tratta di progetti per investimenti di medio/ lungo periodo riteniamo che possano rappresentare l’occasione tanto attesa per riformare dalle fondamenta tutto il comparto facendogli fare quel necessario passaggio verso formule di mercato più innovative e sostenibili, leve principali che guideranno le scelte dei nuovi consumatori nei prossimi anni. Riteniamo cruciale lavorare su progetti di lungo periodo e non soltanto in una logica emergenziale che rischia, come già accaduto, di non considerare intere filiere che, nonostante non siano state chiuse per decreto non stanno comunque lavorando. L’industria del turismo, ora più che mai, ha un grande bisogno di visione e di investimenti di medio lungo periodo: non chiediamo sussidi, ma un supporto concreto agli investimenti.

In che modo i piani di Federturismo sono cambiati rispetto al passato?
La crisi profonda che ci ha colpiti può rappresentare l’occasione per risolvere una volta per tutte questioni che il Paese continuava a rimandare. Necessità improrogabile è ora quella di mettere a punto riforme strutturali che modernizzino davvero il Paese. Per costruire l’industria turistica italiana di domani occorre pensare ad un potenziamento delle infrastrutture in chiave green, per rendere i territori “minori” più accessibili e decongestionare quelli più affollati, aiutando così la sostenibilità ambientale di questi ultimi e quella economico-sociale dei primi. Così come è cruciale colmare il gap digitale quasi cronico del nostro Paese, stimolando l’utilizzo delle nuove tecnologie nel turismo e nella cultura, attraverso la nascita di startup innovative e investendo nel capitale umano tramite una formazione delle professioni turistiche davvero all’altezza del futuro.

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Come farsi trovare pronti nel momento in cui il comparto proverà a ripartire?
Il 2021 si prospetta come un anno impegnativo di passaggio verso la ripresa in cui riflettere, costruire e gettare le basi per il futuro. Bisogna mettere al centro della nostra azione tre concetti chiave: semplificazione, sostenibilità, innovazione. Dopo questi lunghi mesi di chiusura, le persone hanno voglia di tornare a viaggiare ma chiedono anche maggiore sicurezza, affidabilità e qualità di servizi: dobbiamo farci trovare pronti. E’ importante ridare fiducia ai viaggiatori e riaprire le frontiere verso alcune destinazioni extra Ue per dar seguito alla domanda ed offrire viaggi in totale sicurezza incrementando l’offerta di voli da e per l’Italia che prevedano un processo di testing alla partenza e all’arrivo.

Come promuovere al meglio la nostra immagine all’estero creando un sistema Italia vincente per il turismo? Funzionano ancora i super testimonial o gli ambasciatori come l’avvocato Nancy Dell’Olio per la Puglia?
Nonostante l’Italia sia uno dei Paesi più ricercati e desiderati al mondo dai turisti stranieri e non abbia bisogno di super testimonial per essere conosciuta ed apprezzata necessita però di una profonda riorganizzazione della promozione a livello internazionale, che poi è l’obiettivo che si è data la Puglia con la sua scelta. Quello che manca, già da prima della pandemia, è una visione organica della promozione turistica del “brand Italia” all’estero. La Farnesina dovrebbe attivarsi con un grande piano di diplomazia economica e commerciale, investendo sul turismo come primo strumento di promozione del nostro Paese nel mondo. Occorre una volta per tutte riorganizzare e integrare l’azione dei tanti enti che rappresentano il volto dell’Italia negli altri Paesi.

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Si riuscirà a trovare il modo per superare i problemi legati al turismo di massa verso poche mete sovraffollate come le città d’arte? Si può pensare di approfittare della pandemia per caldeggiare un cambiamento delle nostre città rendendole più autosufficienti, cablate, più vivibili sia per chi le abita che per i turisti abbracciando nuovi modelli urbani come già si sta sperimentando in altre parti del mondo? Mi riferisco soprattutto alla prima Covid City che sta nascendo in Cina vicino Pechino, ma anche al “Parc de la distance” creato a Vienna dove viene favorito il distanziamento sociale. Anche il comparto turistico potrebbe adeguarsi: è questa una delle strade da seguire?
Il rischio al quale ci ha sottoposto la pandemia deve diventare, grazie ad una consapevolezza diversa, un’occasione dalla quale ripartire per rivedere e costruire una nuova proposta turistica destagionalizzata e competitiva. Il turismo deve essere in grado di ridurre al minimo l’impatto sulle risorse naturali, sui fattori socio-culturali, sulle infrastrutture e sulla mobilità: un turismo di qualità, ecosostenibile, rispettoso dell’ambiente e accessibile. Coinvolgere le comunità nel ridurre la congestione turistica, destagionalizzare i flussi turistici, pianificare e rispettare i limiti di capacità delle destinazioni, sono aspetti imprescindibili per tracciare un percorso di crescita turistica sostenibile. Per affrontare il problema, occorre una visione strategica che rispetti i limiti delle capacità delle destinazioni, promuovendo la dispersione dei visitatori nei luoghi e nel tempo, lo sviluppo di nuovi itinerari e attrazioni per i visitatori, adeguando le infrastrutture cittadine.

Quanto sei d’accordo sulle conclusioni fissate durante l’incontro di settembre scorso in Georgia nella Dichiarazione di Tbilisi dal Consiglio esecutivo dell’OMT (United Nations World Tourism Organization) relativamente alla sostenibilità e all’innovazione nel settore turistico mondiale?
E’ evidente come l’attuale attività turistica abbia un enorme impatto sull’ambiente.
Per questo l’UNWTO è intervenuto spesso ricordando, in diverse occasioni, la necessità di una gestione sostenibile e responsabile della crescita del settore turistico. Non solo, ma le città più turistiche del mondo sono alla ricerca di modi per massimizzare l’impatto positivo del turismo e minimizzare gli aspetti negativi. Digitale, sosteniblità e attenzione a nuovi stili di vita che mettano al centro il benessere e la sicurezza della persona sono temi cruciali sui quali è diventato indispensabile investire e riprogettare. Occorre ripensare il modo di fare turismo puntando sulla riconversione energetica per le imprese turistiche con finanziamenti a fondo perduto o con l’estensione dell’ecobonus al 110% anche alle PMI con criteri di accesso e utilizzo effettivamente utili per le imprese e sul potenziamento delle infrastrutture in chiave green per rendere i territori “minori” più accessibili e decongestionare quelli più affollati. Se già prima il digitale era considerato una leva di sviluppo fondamentale, con la pandemia il processo ha avuto una forte accelerazione. Il settore ha, ora più che mai, bisogno di poter contare su indicatori e informazioni in tempo reale per poter prevedere scenari, l’evoluzione dei comportamenti e attuare le opportune strategie, anticipando il più possibile il processo decisionale. Sarà proprio sulla velocità di reazione che si determineranno i nuovi assetti e la competitività futura dei diversi Paesi.

In conclusione, cosa si può far per ripristinare la fiducia in chi viaggia e per poter consentire una ripartenza rapida e “sana” del turismo?
Tutti i settori dell’intera filiera hanno, sin dall’inizio della pandemia, creduto fortemente che per poter progettare la ricostruzione di un’Italia in salute fosse cruciale avvalersi di una normazione per garantire un ritorno alla normalità il prima possibile. Per questo come Federturismo siamo soddisfatti dell’importante lavoro svolto con Uni che, attraverso la messa in comune delle competenze e professionalità di tutti, ha portato alla pubblicazione di un documento quadro che potrà essere un riferimento per tutte le imprese del turismo a garanzia della qualità, sicurezza e tutela dei luoghi di lavoro. E’ solo un primo risultato, ma adesso occorre passare ad un piano di rilancio con la responsabilità di un progetto che guardi all’Italia che verrà. Occorre favorire e agevolare la ripartenza dei viaggi attraverso una rapida accelerazione della campagna di vaccinazione nazionale, un sistema agile di attestazione di avvenuta vaccinazione per i viaggiatori e mediante la riapertura coordinata del traffico internazionale sulla base di protocolli sanitari e operativi condivisi. Ad oggi solo la Georgia ha deciso di riconoscere un valore al vaccino garantendo libertà di viaggio, in entrata e in uscita, a chi ha già una copertura vaccinale. Ci auguriamo di vedere sempre più nazioni aderire a questo principio. I convegni medici potrebbero essere i primi a riprendere una normale attività.

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