Il giro del mondo negli scatti di McCurry

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Sguardi sul mondo e dal mondo: penetranti, malinconici, magnetici come quello di Sharbat Gula, la ragazza afgana che Steve McCurry, con la sua foro di copertina su National Geographic del 1984 ha reso un’icona, simbolo della dolorosa fase storica di campi di profughi afgani in Pakistan. La mostra, ospitata al Castello di Otranto, intitolata “Steve McCurry Icons” è una imperdibile opportunità per scoprire la trama di infinite storie e l’intreccio di lontane civiltà. E’ l’esempio di come ogni scatto, ogni singolo ritratto racchiuda l’insieme delle esperienze, delle emozioni, dei momenti tragici, ma anche di speranza dell’umanità.

A Otranto Steve McCurry Icons

La mostra è di per sé un viaggio insolito e intenso che apre scorci su ogni angolo dell’umanità, poiché le sue foto sono popolate da uomini e donne di ogni dove, spesso in terre colpite da guerre o da eventi clamorosi come l’attacco alle Torri gemelle a New York o più semplicemente sono sprazzi di stili di vita e abitudini fra loro così lontani e diversi. Una carrellata di finestre sul mondo da cui si percepisce un senso di ascetica quiete come nel caso della foto sull’Inle Lake in Birmania, in cui la luce regala un’immagine di forte impatto emotivo e di immensa serenità. Sono tanti gli scatti che provengono da questa terra e tra questi anche quella suggestiva e onirica del tempio buddista posto sulla sommità di una roccia che sembra stia lì lì per precipitare.

E tanti sono i templi, come quello in Cambogia, protetto dalle radici degli alberi di una giungla ad Angkor, in una terra affascinante e misteriosa. E poi tanti aspetti e volti dall’India: nel Rajastan, dove scorre al stagione dei monsoni con tempeste di vento e sabbia che avvalgono donne ammantate di rosso e chiuse a cerchio per proteggersi quasi a disegnare il bocciolo di un fiore. E un’altra India, quella delle città dai mille contrasti qual è Bombay, è rappresentata da uno sguardo che cattura di una bimba con sua madre, che chiede una moneta, dietro il finestrino dell’auto, sotto la pioggia scrosciante. Sono attimi immortalati, che raccontano vite fatte di stenti, difficoltà, paure, lotta. Come quella del bambino di Kabul con la sua divisa militare, di guardia nel suo quartiere, in piena guerra civile, dopo il ritiro sovietico negli anni ’90. E ancora bambini ammucchiati nel cofano di un’auto sempre in Afghanistan, non certo per giocare, ma per viaggiare, scappare in queste condizioni.

Difficile scegliere di soffermarsi solo su alcune delle immagini, hanno tutte una forza incredibile, quella di una vita ai limiti, o comunque molto lontana nelle consuetudini. Modelli di vita arcaici guidano ancora antiche tribù nel Kashmir, dove gli uomini si tingono la faccia con l’henné colorandola di uno vivace arancio, che contrasta con il colorito olivastro della pelle. E’ il Kashmir una delle regioni più belle per i suoi laghi, dove si tengono mercati di fiori che colorano questi specchi d’acqua aggiungendo nuove suggestioni visive. L’acqua e la sua sacralità nell’India del Mahatma Gandhi è al centro di una foto che racchiude una storia di forza, nonostante la disperazione: un uomo sommerso fino al collo dall’acqua a causa di una tempesta monsonica porta con se il suo unico bene, la macchina da cucire, che affiora con lui che la porta in salvo e sorride all’idea di essere fotografato.

Dietro questa foto c’è anche la stessa storia di speranza di Sharbat Gula, la giovanissima donna con cui abbiamo cominciato il percorso della mostra. Dopo 17 anni Steve McCurry con l’appoggio del National Geographic è riuscito a ritrovarla, dando un nome a quel volto dai grandi occhi verdazzurro, che avevano acquistato notorietà in tutto il mondo e consentire così alla donna di offrire a se stessa ma soprattutto ai suoi figli una vita migliore. E anche questo è un miracolo di chi lavora con passione, raccontando per immagini, vite che scorrono in ogni parte del mondo.

La mostra resterà aperta sino al 2 ottobre 2016 tutti i giorni dalle 10 alle 24.

Antonella Lippo

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