Il giardino dei Finzi Contini tra finzione e realtà

Fuori confineIl giardino dei Finzi Contini tra finzione e realtà
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Il giardino dei Finzi Contini, libro del ferrarese Giorgio Bassani, l’ho letto da liceale. Mi era piaciuto molto all’epoca, ma ho voluto rileggerlo perché finalmente ho potuto visitare la città in cui si svolge tutta la storia: Ferrara.

Alla scoperta della Ferrara di Bassani

Sapevo già che, nonostante nella prima parte del romanzo l’autore stesso induca in “errore” il lettore facendo riferimento alla Guida del Touring, notando che non cita il giardino di villa Finzi-Contini, in realtà questo esiste solo nelle pagine del libro.

giardino dei Finzi Contini

Esistono invece tutti gli altri luoghi nominati che vedono protagonisti il narratore e la famiglia dei Finzi Contini: Corso Ercole I d’Este, l’asse dell’Addizione Erculea, che “dritto come una spada” conduce verso la casa della ricca famiglia ebrea e su cui si affaccia il grande portone che cela il giardino, le Mura degli Angeli, meta di piacevoli passeggiate, oggi come allora, ma anche il rifugio del protagonista dopo aver appreso la notizia della bocciatura in matematica: “Mi fermai sotto un albero, uno di quegli antichi alberi, tigli, olmi, castagni…” e il Cimitero Ebraico dove lo stesso Bassani è seppellito.

Noi il giardino lo abbiamo immaginato a modo nostro, racchiuso dalle mura intorno al grande parco in cui è immerso il boutique hotel Horti della Fasanara che si estende alle spalle del Cimitero Ebraico. Passeggiando sul prato sotto gli alti alberi e guardando verso il perimetro del muro di cinta abbiamo immaginato la Micòl adolescente a cavalcioni che invita a scavalcare l’alter ego di Giorgio Bassani fermo accanto alla sua bicicletta.

Lo abbiamo spostato, certo: non era lì che l’autore aveva collocato il giardino dei Finzi Contini, ma del resto lo stesso Bassani non prese ispirazione da nessun parco della sua città, ma dal lontano Giardino di Ninfa, della nobile famiglia Caetani di Sermoneta, vicino a Latina.

Anche noi dunque ci siamo lasciati suggestionare dal racconto di Bassani scritto nel 1962 e reso “immortale” dal film di Vittorio De Sica del 1970 che vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, il Premio Oscar come miglior film straniero e il David di Donatello. Come dimenticare la bellissima e algida Micòl interpretata da Dominique Sanda e l’altrettanto attraente Helmut Berger nei panni del fratello Alberto che nel film si aggirano nel giardino di Villa Ada a Roma e tra le stanze di villa Litta Bolognini di Vedano al Lambro adiacente al Parco di Monza. Le uniche scene girate a Ferrara sono quelle dell’ingresso del giardino in Corso Ercole I d’Este, vicino a dove l’aveva immaginato Bassani.

La storia gira tutta intorno al giardino della villa dei Finzi Contini, una famiglia ebraica ricchissima. Il racconto si sviluppa tra il 1938, quando furono applicate le leggi razziali, e il 1943, anno della deportazione di molti ferraresi di religione ebraica ad Auschwitz. Fu in quel periodo che il giardino dei Finzi Contini divenne un rifugio per un gruppetto di giovani ebrei e il luogo dove ancora si poteva vivere la normalità giocando a tennis e vivendo storie d’amore più o meno ricambiato.

Il particolare che non conoscevo quando ho letto il libro, perché allora non era stato ancora scoperto, è che nel tratteggiare le figure dei componenti della famiglia Finzi Contini, Giorgio Bassani si era ispirato ai Finzi-Magrini che con i personaggi immaginati dallo scrittore condivide l’amaro finale di una tragedia che da “familiare” diventò quella “universale” della Shoah. Infatti nel romanzo i Finzi Contini furono deportati e nessuno di loro sopravvisse al massacro.

Nella realtà a Bad Arolsen in Germania c’è un importante archivio nell’Istituto per la ricerca internazionale (Its), in cui sono elencati i nomi delle persone deportate e decedute per mano nazista tra cui Silvio Finzi-Magrini così schedato: ‘Padre: Mosè. Madre: Fausta Artom. Nato l’8.1.1881 a Ferrara, Italia. Religione: ebraica. Deportato in Germania. Protocollo numero 598504′. A lui Bassani si è ispirato per la figura di Ermanno Finzi-Contini, capostipite della casata e padre di Micòl, l’unico personaggio creato dalla fantasia dello scrittore ferrarese.

Questa commistione tra finzione e realtà, scoperta dopo la rilettura del romanzo, mi ha fatto desiderare di tornare al più presto a Ferrara per scoprire i luoghi di una comunità, quella ebraica, che in città ha sempre goduto di grande considerazione sin dal Medioevo e che sotto gli Estensi aveva ottenuto, pur con grandi limitazioni, alcune libertà civili.

La visita potrebbe partire dal quartiere medievale che conserva le memorie di una delle comunità ebraiche più antiche d’Italia e dal ghetto in cui essa venne segregata dal 1627 sino all’Unità d’Italia. La strada principale dell’antico ghetto era Via Mazzini, dove un tempo si concentravano i negozi degli ebrei, e che viene spesso nominata da Bassani, mentre in Via Vignatagliata esiste ancora la scuola ebraica dove insegnò durante la segregazione razziale.

Verso la piazza della Cattedrale vi era uno dei cinque cancelli di chiusura del quartiere ebraico e al n. 95 di Via Mazzini si trovano le Sinagoghe: fin dal 1485 il ricco banchiere romano Ser Samuel Melli aveva acquistato una grande casa e l’aveva donata agli ebrei ferraresi perché ne facessero la sede delle loro istituzioni. La casa, attualmente chiusa per restauri, serve da centro della vita della piccola comunità locale, ospitando l’ex Tempio Tedesco, utilizzato per le cerimonie più solenni, l’ex Tempio italiano, oggi un elegante e ampio salone usato per conferenze e celebrazioni comunitarie, mentre l’Oratorio Fanese è un piccolo tempio del XIX secolo usato per i riti del sabato.

Foto dal web

Se si vuole vedere una testimonianza della Ferrara ebraica bisogna recarsi tra Palazzo San Crispino, dove si tenevano le predicazioni coatte per convertire gli ebrei al cattolicesimo, e Via Mazzini dove ci sono i cardini di ferro delle Porte del Ghetto. E visitare il MEIS, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah nelle ex carceri di via Piangipane, dismesso nel 1992, dove durante la guerra furono imprigionati oppositori antifascisti ed ebrei come lo scrittore Giorgio Bassani, Matilde Bassani e Corrado Israel De Benedetti.

Tornando in Piazza della Cattedrale presteremmo più attenzione alla Colonna di Borso d’Este, nei pressi del Volto del Cavallo, per notare che è in gran parte rivestita con lastre lavorate provenienti da cimiteri ebraici, spogliati delle loro lapidi nel corso del XVIII secolo per ordine dell’Inquisizione.

Dove finirebbe il giro? Nei grandi spazi erbosi del Cimitero Ebraico oltre il grande portale di ingresso passeggiando in silenzio al cospetto di alti alberi in cerca della tomba dello scrittore Giorgio Bassani, disegnata dallo scultore Arnaldo Pomodoro e realizzata dall’architetto Piero Sartogo. E prima di andar via non potremmo che rendere omaggio alla memoria dell’autore de Il giardino dei Finzi-Contini, secondo l’usanza ebraica, lasciando un sasso sulla sua tomba.

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Comments

  1. Il bello di tornare a viaggiare come facevano gli scrittori di una volta… Io del Giardino ho visto solo il film, molto intenso, e chiaramente non ho potuto non legare Ferrara al romanzo.
    Un giro così lo farei anch’io, anzi in verità è proprio così che viaggio, arrivando coi miei piedini in quel certo punto che non mi basta più aver visto solo in foto; e provando a cogliere un po’ di quello che resta di una storia o racconto, anche se i luoghi non sono proprio quelli, l’atmosfera però sì. A Lecco c’è una situazione simile riguardo ai Promessi Sposi, i luoghi da cui Manzoni si è ispirato riportano solo targhe commemorative, eppure è un’esperienza che ho sentito di voler fare, e salire la salita che porterebbe al palazzotto di Don Rodrigo è stato come impersonare per un attimo Fra’ Cristoforo.
    Non so niente dei ghetti, pensavo fossero dei quartieri, invece a quanto capisco gli ebrei vi erano confinati…

  2. Bello viaggiare e conoscere città e paesi rivivendo storie vere o immaginate.
    Riguardo i ghetti gli ebrei erano costretti a viverci e a una certa ora vi erano proprio chiusi dentro.
    Una realtà comune a molte città europee ma nata a Venezia per la prima volta.

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