Cartoline da Praga – prima parte

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I punti di vista di un viaggio sono sempre curiosi e personali. Il perché qualcosa colpisca la nostra attenzione escludendone altre, rimane un mistero e fa ricorso alla nostra visione del mondo o forse richiama bisogni più profondi.

Una Praga raccontata attraverso la musica

“I am the passenger and I ride and I ride, I ride through the city’s backsides, I see the stars come out of the sky” – a dirla come una famosissima canzone di un rocker di razza, Iggy Pop.
Per questo motivo il mio racconto di viaggio a Praga, non è solo un decalogo su “cosa fare a Praga e cosa visitare”, piuttosto è un “racconto emozionale” che vuole parlarvi della città cogliendone particolari inediti in cui unire musica e immagini.
Ogni impressione avrà il suo sottofondo musicale dedicato perché in questo particolare viaggio, la musica è la colonna sonora che permette di cogliere nel miglior modo possibile l’essenza della città, i paesaggi e le persone che li abitano al di là delle mete e dei luoghi da visitare.

Parto dagli Stranglers, un gruppo inglese punk rock degli anni Settanta e in particolare scelgo il brano Golden brown, canzone molto celebre, che significa Illuminazione.
https://youtu.be/AtTsky80XmQ
Questo brano è un’introduzione perfetta per il mio racconto perché nell’apparente solarità del testo e della melodia, si cela una complessità che richiama attenzione. Il ritmo cadenzato, l’incedere accattivante della musica a mo’ di valzer sembrano un invito alla danza ma c’è qualcosa, quel tredicesimo ottavo, che sembra mandare fuori tempo…
Fuori dal tempo e fuori dallo spazio. E così mi ritrovo a rincorrere i mille volti della Praga, fuori da ogni immaginario, soprattutto fuori dagli “slogan” di ordinanza che vorrebbero imbrigliarla e definirla come la Praga magica, la Praga delle leggende, la Praga esoterica, la Praga di Kafka e anche la Praga meno politically correct dei bordelli e dei casinò. Ma Praga è realmente indefinibile, ammantata da quella nebbiolina tanto misteriosa quanto apparentemente irreale.

L’“illuminazione” di Praga la colgo dal primo respiro quando, complici le temperature al di sotto dello zero dei primi giorni dell’anno, l’aria mista a echi di neve e muschio, ruggine e polline che diventa una seconda pelle e rimane ancorata addosso anche a distanza di giorni, in una specie di profumo e sensazioni cangianti e stranianti per chi come me abita a livello del mare. Si può respirare letteralmente la storia di questo luogo? Si può respirare il suo melanconico valzer? Sembrerebbe strano a dirsi ma la risposta è sì!
Praga si muove tra una storia millenaria e una contemporaneità che si proietta verso il futuro dove il valore della memoria e della storia è visibile e forte nelle strade, nei monumenti, soprattutto nei volti dei praghesi doc. Se il mondo globalizzato pian piano si percorre strada attraverso le giovani generazioni, omologandone gli atteggiamenti, noto che in questi luoghi è forte il legame con il passato più recente fino a tratteggiare i lineamenti di chi ha vissuto anni di guerra, di divisioni, occupazioni e proteste, la cui parola Primavera non ha mitigato il significato di violenza e morte. Un passato recentissimo rivendicato inconsapevolmente da quell’espressione fiera e in attesa di chi ha vissuto in poco tempo rivoluzioni interne ed esterne che in questi luoghi e in queste strade riecheggiano ancora.
Canzoni contro la guerra: Francesco Guccini – Primavera di Praga https://youtu.be/wjUoLlmyk6k

Chi mi accompagnerà in aeroporto al ritorno verso casa alle cinque del mattino, sarà un uomo alto quasi due metri sulla cinquantina, biondissimo nonostante l’età, dalla corporatura possente e portamento elegante, vestito con un giaccone di pelle nero e lana usurato dal tempo, dove leggo sbiadita su un braccio un’etichetta che sembra richiamare nella mia mente, l’aviazione o l’esercito.

La Kaprova è una delle arterie principali della città che collega il “lungofiume”all’imbocco di Staroměstské náměstí (piazza della Città Vecchia) dove il fiume Moldava si mostra in tutto il suo immenso splendore.
È qui che l’odore della storia più antica si fa più intenso mentre sono colpita dalla prima nevicata della stagione che in pochi minuti corica la strada in un manto innevato che cade pesante sulla pietra. Costeggio il fiume mentre la neve si posa pesante sul mio piumino e mi dirigo verso il celebre Ponte Carlo (Karluv Most). Il ponte in pietra in stile gotico, collega la Città Vecchia a Malà Strana (Piccolo Quartiere) e abbraccia le estremità delle due zone con le sue due possenti torri su cui è possibile, nei mesi più caldi, salire e godere di una spettacolare vista del ponte dall’alto.
Comprendo il peso della storia quando ascolto il racconto della sua costruzione che si muove tra numeri e leggende. Il ponte fu commissionato da Carlo IV nel 1357 (“la Praga dei numeri”) e si dice che sia stato costruito impastando la pietra a dei tuorli d’uovo per rafforzarne la struttura. Infatti, il ponte Carlo a differenza del suo predecessore (Ponte Giuditta) é sopravvissuto a molte alluvioni cui Praga è soggetta fino alla più recente nell’agosto del 2002 e si deve, secondo leggenda, ai suoi “numeri magici”, dispari e in successione. Il ponte Carlo in realtà non è molto lungo, circa 516 metri ma ha in sé molto fascino e superstizione. Da buona turista “tocco con mano” le tradizioni che vogliono dedicare il proprio tempo alla statua più celebre collocata sul ponte, quella di San Giovanni Nepomuceno, un martire ceco che fu giustiziato durante il regno di Venceslao IV venendo gettato dal ponte. San Giovanni Nepomuceno è rappresentato con una corona a cinque stelle e la leggenda vuole che si tocchi la statua che ne ricorda il martirio, perché porta fortuna e assicura il proprio ritorno a Praga. Non mi posso esimere. Le leggende e i racconti pian piano iniziano a far parte di me.

(Testo e foto di Alessia Vanìa)