Nel nostro primo giro in Sicilia, le bianche terrazze sulla costa agrigentina vicino a Realmonte, chiamate Scala dei Turchi, ci erano “sfuggite”.

Meraviglie fra natura e opera d’artista

Bianco di Sicilia

Per cui in questo viaggio, che ci ha portato al sud est dell’isola, da Siracusa a Marzamemi, poi nel suo cuore a Piazza Armerina e al suo gioiello, la Villa Romana del Casale, e ancora verso la costa sud occidentale tra Agrigento e Marinella di Selinunte, non abbiamo voluto mancare l’appuntamento con questo scenario spettacolare.

Da Piazza Armerina, quindi, abbiamo deciso di scendere verso Gela e da lì seguire il litorale, costeggiando Agrigento e gli splendidi monumenti archeologici della Valle dei Templi, che ci ripromettiamo di inserire nella prossima visita a questa straordinaria terra.

Abbiamo ammirato da lontano la Via Sacra di cui si distinguono perfettamente anche a distanza i profili del Tempio di Giunone e del Tempio della Concordia, l’unico edificio intatto, le otto colonne del Tempio di Ercole e le quattro, delle ben 34 originarie, del Tempio dei Dioscuri. Nonostante le distruzioni causate dalle vicende storiche e dai terremoti, il simbolo di Agrigento, che fu definita da Pindaro “la più bella città dei mortali, l’amica del fasto”, rimane uno degli scorci più fotografati della Sicilia intera. Come potevamo non fermarci a scattare una foto anche noi?

Bianco di Sicilia

Bianco di Sicilia

Ma il tempo è sempre tiranno e quindi dopo la breve sosta siamo ripartiti per raggiungere la prima tappa di questa parte del viaggio che abbiamo voluto chiamare Bianco di Sicilia: la Scala dei Turchi.

Questo spettacolare scenario costituito da candidi scalini che si aprono ad arco verso il mare come fossero la platea di un teatro è dovuto alla particolare consistenza delle rocce. Qui gli scogli sono infatti di marna formata da calcare e argilla e dal caratteristico colore bianco puro. Si chiama Scala dei Turchi perché pare che in passato nella baia trovassero riparo le navi dei predoni arabi e saraceni.

Purtroppo il cielo grigio non ci ha permesso di ammirare il forte contrasto tra il bianco accecante e l’azzurro intenso del mare che invece ha assunto colori lattiginosi non meno affascinanti. Ma quando c’è il sole la “scala” diventa abbagliante e sono in tanti ad avventurarsi fino alle spiagge ai piedi della falesia per tuffarsi e nuotare nelle acque turchesi. Noi, a parte la stagione, non abbiamo voluto provare a scendere in quanto, avendo da poco piovuto, temevamo di scivolare sulle rocce bagnate.

Bianco di Sicilia

Ma vi garantiamo che anche ammirate dalla sommità queste candide rocce spalancano agli occhi di chi vi si affaccia uno spettacolo quasi surreale…

Bianco di Sicilia

L’altro Bianco di Sicilia di cui vi vogliamo parlare, invece, non è stato creato dalla natura ma dalla mano dell’uomo, quella del grande artista Alberto Burri. Si tratta del Grande Cretto, la più grande opera di land art del mondo, realizzata lì dove un tempo sorgeva la cittadina di Gibellina, distrutta il 15 gennaio del 1968 da un violento terremoto che sconquassò tutta la Valle del Belice.

Bianco di Sicilia

Nel primo decennio degli anni ’80 Burri decise di ricoprire con 80.000 metri quadrati di cemento bianco le macerie della città scomparsa dalle carte geografiche, creando una sorta di enorme sudario a perenne ricordo di questo avvenimento.

Bianco di Sicilia

Sin da lontano, tra il verde di viti e olivi sulle colline, appare questa immensa “crosta” che riveste la grande ferita provocata dal terremoto. Dopo aver lasciato l’auto al bordo della strada ci siamo incamminati entrando nel reticolo di strade bianche fra pareti alte poco più di un metro e mezzo, inerpicandoci tra le crepe: la parola cretto è un sinonimo di crepa, fenditura nel muro.

E aggirarsi per i vicoli bianchi di questo labirinto, gli stessi del centro storico del paese prima del sisma, provoca stordimento e fa riflettere sull’assenza di vita in un luogo che fino a 50 anni fa era abitato da circa 6.000 persone e di cui resta memoria attraverso quest’opera definita la colata di cemento più bella del mondo.

Che in più di un punto cede alla natura, facendo emergere nel bianco paesaggio qualche pianta spontanea, quasi a voler cancellare il passaggio umano riprendendo possesso del territorio.

Nel maggio di quest’anno ha aperto il Museo del Grande Cretto di Gibellina nella vecchia Chiesa di Santa Caterina, unico edificio superstite del terremoto. Al suo interno è stata ricostruita tutta la progettazione che ha portato alla realizzazione dell’opera di Burri, attraverso materiale fotografico, documentazioni storiche, plastici e proiezioni.

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