L’Incompiuta di Venosa, in Basilicata, finora per noi è stata sinonimo di mancata. Per varie volte siamo stati in zona e abbiamo visitato il centro storico della cittadina col magnifico castello in occasione dell’Aglianica Wine Festival di qualche anno fa. Ma l’Incompiuta ci è sempre sfuggita! Perché ci siamo passati e l’area archeologica e l’Abbazia della Santissima Trinità erano chiuse, oppure eravamo noi ad “andare di fretta”, come si suol dire, e non avevamo il tempo di fermarci per approfondire la visita.
A Venosa la vista all’Incompiuta con Otto
Ma quest’anno finalmente ce l’abbiamo fatta e abbiamo visitato sia l’Abbazia che il Parco archeologico di Venosa, cittadina lucana che sorge alle pendici del Vulture e che è inserita tra i Borghi più belli d’Italia.
L’insediamento urbano ha una lunga storia che affonda le sue radici nel Neolitico, come testimoniato dal ritrovamento di un’antichissima necropoli a Notarchirico. Venosa dunque ha rappresentato sempre un crocevia di genti e di merci, ma raggiunse il suo apice durante il periodo romano. Fu fondata nel 291 a.C. dai Romani che la conquistarono dopo aver sconfitto i Sanniti. E a loro si deve il nome della città, Venusia, che si può probabilmente legare alla dea Venere.
Altri due episodi importanti si legano alla cittadina lucana: qui, nel 65 a.C., nacque il poeta Orazio e nel 70 d.C. vi si impiantò una delle prime comunità ebraiche d’Italia. Con la caduta dell’Impero Romano passò di mano più volte, dagli Eruli agli Ostrogoti. Nella seconda metà del 500 divenne longobarda per poi rientrare nell’orbita di Bisanzio. Ai Bizantini la sottrassero i Normanni a cui successero gli Svevi di Federico II. Entrata a far parte del Regno di Napoli, fu feudo di importanti famiglie quali gli Orsini, i Del Balzo, i Ludovisi e i Caracciolo.
Ma torniamo al motivo principale della nostra visita, l’
Incompiuta, un luogo magico in cui sorgeva un tempo il centro nevralgico della città e che oggi si staglia in un’importante area archeologica romana nella
località di S. Rocco. La visita al Parco conduce tra le grandi opere realizzate dai Romani, a cominciare dall’impianto termale costruito nel I secolo dopo Cristo e ristrutturato fino al III, tra le case tra le quali spiccano una splendida domus impreziosita da meravigliosi mosaici e un isolato delimitato da due assi viari basolati. Il complesso termale si compone di diversi ambienti, dal
tepidarium in cui sono presenti pilastri in mattone al
frigidarium con i pavimenti a mosaico con soggetti geometrici di animali marini.
Sullo sfondo si staglia maestosa la grande
Abbazia della Santissima Trinità, nella quale emergono chiare le diverse fasi costruttive, dalle origini romane all’epoca normanna.
Il lungo edificio di fronte è costituito in realtà da due chiese. La più antica è la
Chiesa Vecchia, costruita tra il X e l’inizio dell’XI secolo e parte dell’Abbazia della Santissima Trinità che custodisce la tomba di Aberada, prima moglie del normanno Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo (1015-1085), Conte di Puglia e Calabria.
La
Chiesa della Santissima Trinità insieme al complesso abbaziale fu edificata nel 1059 ed è in stile romanico, a pianta basilicale a tre navate. Al suo interno conserva il pavimento della precedente basilica paleocristiana del VI secolo d.C., a sua volta edificata su un tempio pagano del dio Imeneo. Inoltre a un piano inferiore sono state ritrovate tracce dei pavimenti a mosaico di una domus privata di età imperiale. Affidata ai benedettini, successivamente fu deciso di ampliarla ma i lavori si fermarono alla fine del 1200 e quanto vediamo oggi lo testimonia in modo inequivocabile.
Nonostante ciò
l’Incompiuta è un’opera grandiosa con i suoi oltre 2.000 metri quadri di superficie, le tre navate scandite da cinque colonne corinzie, la pianta a croce latina, l’ampia abside con tre cappelle sul lato esterno, le due arcate complete, parte della facciata e del battistero, tutto interamente costruito con le pietre sottratte ai monumenti romani come il vicino anfiteatro che si trova dall’altra parte della strada.
Venosa dette i natali a uno dei più importanti poeti dell’antichità, Quinto Orazio Flacco, ma anche a uno dei più autorevoli pittori di scuola napoletana dell’Ottocento, Giacomo Di Chirico, a Manfredi Re di Sicilia e a Luigi Tansillo, che Torquato Tasso definì uno dei migliori poeti italiani del Cinquecento, nonché a Gesualdo, compositore di madrigali e musica sacra che, in un impeto di follia, uccise l’adultera moglie Maria d’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa, duca d’Andria e conte di Ruvo. Fu la famiglia Gesualdo a trasformare nel 1600 in signorile residenza il Castello Aragonese, voluto nel 1400 dal duca Pirro del Balzo e che ancora oggi domina la città e ne è simbolo con la pianta quadrata cinta dalle mura dello spessore di tre metri e le torri cilindriche angolari.
L’elegante loggiato al piano nobile fu eretto successivamente per volere della famiglia Caracciolo mentre le teste di leone all’inizio del ponte di accesso provengono dalle rovine romane, così come i leoni della duecentesca Fontana angioina, un lungo abbeveratoio addossato a un muro.
Ora che abbiamo finalmente visitato insieme al nostro Otto il
Parco archeologico, l’Incompiuta a l’Abbazia della Santissima Trinità torneremo a
Venosa per ammirare il
Museo Archeologico Nazionale “Mario Torelli” allestito all’interno del Castello Aragonese, dove sono ospitati i reperti delle aree archeologiche di Notarchirico, dell’antica Venusia e i reperti provenienti dalle Catacombe ebraiche. Scavate nella collina della Maddalena le
Catacombe ebraiche sono state scoperte nel 1853 e si articolano in una rete di cunicoli sotterranei all’interno di una fila di grotte intorno a tre corridoi principali le cui pareti laterali sono occupate da piccole nicchie e loculi.
A queste visite i cani non sono ammessi ma Otto potrà consolarsi accompagnandoci tra i vigneti del celebre Aglianico del Vulture in cui Venosa è immersa, mentre un altro ottimo motivo di tornare sarà per noi degustare nel luogo di produzione un calice di uno dei più grandi rossi italiani.