A Macchiabate con il team dell’Università di Basilea

IncontriA Macchiabate con il team dell’Università di Basilea
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La necropoli di Macchiabate di Francavilla Marittima in provincia di Cosenza l’abbiamo scoperta grazie a un incontro fortuito e fortunato. In genere scegliamo con un certo anticipo chi intervistare nei nostri Incontri ma questa volta non è andata così. Perché la visita alla necropoli dell’età del ferro insieme al professor Martin A. Guggisberg dell’Istituto di Archeologia Classica del Dipartimento di scienze dell’antichità dell’Università di Basilea non era programmata.

Macchiabate

Un incontro fortuito e fortunato

Abbiamo incontrato per caso tra le strade del paese Domenico Brunacci e subito dopo abbiamo fatto la conoscenza con il team che si occupa di portare alla luce le tombe di Macchiabate, una delle necropoli più interessanti dell’Italia meridionale.

Macchiabate

Naturalmente ci siamo subito chiesti come mai la più antica sede universitaria della Svizzera si occupi di scavi archeologici in questo borgo affacciato sulla piana di Sibari. Per rispondere a questa domanda il professor Guggisberg e la sua assistente Marta Billo-Imbach ci hanno invitati ad andare a trovare il gruppo direttamente sul posto di lavoro e di studio.

Macchiabate

Da qui è nata l’idea di realizzare un’intervista al direttore del progetto, chiacchierando anche con i suoi assistenti Marta e Domenico. Ed è stato proprio il docente svizzero che con squisita disponibilità ci ha accompagnato tra le tombe della necropoli di Macchiabate a Francavilla Marittima spiegandoci che è dal 2009 che l’Università di Basilea conduce lì indagini. Il tutto è partito da molto lontano: le prime notizie in merito a rinvenimenti archeologici nell’area risalgono al 1841, ma fu nel 1879 che l’ispettore Gallo segnalò il ritrovamento di reperti durante i lavori per la costruzione della nuova strada del Pollino.

Macchiabate

Successivamente, negli anni Trenta del Novecento sono affiorati tra Macchiabate, Timpone dei Rossi e Timpone della Motta resti di una cultura indigena protostorica, rappresentati principalmente da corredi tombali. Il professore ci ha raccontato che i reperti rinvenuti erano quasi sempre frutto di scoperte casuali fatte dai contadini del luogo che li donavano al medico del paese, il dottor Agostino De Santis, appassionato di archeologia.

Macchiabate

A lui si deve la scoperta dell’importante “Tomba delta strada” in cui fu trovata una coppa sbalzata fenicia in bronzo. Esemplari simili in metalli più pregiati sono stati rinvenuti a Cerveteri, Palestrina e Pontecagnano testimoniando quanto sul territorio italiano siano stati importanti gli influssi orientali ancor prima dell’insediamento delle più antiche colonie greche. Fino a questo momento la coppa, insieme a un’ascia e uno scalpello, trovati in una delle sepolture più grandi di tutta l’area durante lo scavo del 1963 a cura della famosa archeologa Paola Zancani Montuori e ricollegati agli utensili con il quale Epeo aveva costruito il cavallo di Troia, sono sicuramente gli elementi più rilevanti.

Macchiabate

Ma scopo degli studi dell’Università di Basilea – ci ha sottolineato il direttore del progetto – è quello di approfondire i rapporti tra le popolazioni indigene e i coloni greci. Un intento non semplice perché l’area della necropoli di Macchiabate è vasta e coperta da macchia mediterranea, le tombe si presentano stratificate e spesso i corredi funebri sono stati depredati o distrutti da fenomeni legati a infiltrazioni d’acqua.

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Ed è proprio a proposito di una storia che lega gli scavatori clandestini che hanno saccheggiato il Timpone della Motta e Macchiabate e i reperti finiti in collezioni private o in musei stranieri, come il Getty Museum di Malibu, la Ny Carlsberg Glyptotbek di Copenaghen o l’Istituto di Archeologia classica dell’Università di Berna, che l’Università di Basilea comincia a interessarsi alla necropoli e a finanziarne i lavori di scavo come una sorta di risarcimento morale e materiale.

Nel 2002, grazie all’ottima riuscita del cosiddetto “Progetto Francavilla-Berna-Malibu” attivato dal Ministero dei Beni culturali, cinquemila reperti trafugati dal Timpone della Motta, sono stati restituiti al Museo della Sibaritide dove sono custoditi.

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Nel 2009 parte la campagna di scavi dell’Università svizzera con l’obiettivo – ha aggiunto il professor Guggisberg – di dare una lettura critica e una diversa valutazione dell’incontro tra i greci e le culture indigene dell’età del ferro nell’Italia meridionale nell’VIII secolo a.C. ben prima della fondazione di Sibari: sono questi i temi del volume che presenta i risultati degli scavi dal 2009 al 2016.

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Da questi scavi è emerso come Francavilla Marittima rappresentasse uno snodo molto importante sulla strada di collegamento tra i due mari, Ionio e Tirreno. Le indagini archeologiche dell’Istituto di Archeologia Classica dell’Università di Basilea hanno riportato alla luce tombe di differente tipologia in un’area sepolcrale riservata a persone di rango elevato.

Macchiabate

Sono quasi 200 le sepolture formate da tumuli di grosse pietre fluviali di forma ellittica. Nelle più antiche il morto era deposto con le gambe piegate con il suo corredo funebre composto da vasellame di ceramica e oggetti in bronzo come punte di lancia e fibule. In quelle più recenti i defunti erano seppelliti supini e nel corredo ci sono oggetti giunti via mare che testimoniano contatti con il mondo greco-orientale ancora prima della fondazione di Sibari nel 708-707 a.C.

Abbiamo chiesto come mai i lavori di scavo dell’Università di Basilea si siano concentrati sulla necropoli e il professore ci ha risposto che le ragioni sono essenzialmente due. La prima è che la zona dell’acropoli di Timpone della Motta in cui sorgeva un santuario per la Dea Atena, è stata a lungo studiata dall’archeologa olandese Marianne Maaskant che l’ha considerata la mitica città di Lagaria, fondata da Epeo il costruttore del cavallo di Troia quando approdò in Italia meridionale. In seguito l’area è stata affidata all’Istituto Danese di Roma (D.I.R.) e all’Unical Università della Calabria guidata da Paolo Brocato. La seconda ragione è che si reputava molto interessante esplorare la città dei morti per capire di più sui vivi e sui contatti e scambi fra popoli.

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A sinistra in alto Marta Billo-Imbach e in basso Domenico Brunacci

A questo punto non ci resta che raccontarvi del nostro primo incontro, quello con Domenico Brunacci, perché è lui che ci ha parlato della missione universitaria e ci ha invitato a intervistare il suo professore e a visitare gli scavi. Chi è Domenico? Originario di Massafra, dunque pugliese come noi, è attualmente assistente all’Università di Basilea, ma si è laureato a Bari dove ha seguito i corsi della professoressa Roscino a cui – ci ha detto – deve la sua scelta di lasciare l’Italia per trasferirsi in Svizzera e diventare un “vero” archeologo. E, carramba che sorpresa, Milly Roscino è stata mia compagna di liceo e da sempre una cara amica!

Non è l’unica scoperta. Domenico si è trasferito a Basilea per poter lavorare in questo scavo in Calabria che gli sta molto a cuore perché il suo papà è originario di Alessandria del Carretto, non molto distante da Francavilla Marittima, territorio che lui ha frequentato sin da bambino. Il percorso non è stato semplice. Ha dovuto imparare il tedesco e anche mantenersi agli studi per non pesare troppo sui genitori a causa dell’alto costo della vita in terra svizzera.

Orgogliosamente ha sottolineato che non sono molti gli studenti stranieri che in Svizzera decidono di seguire un curriculum umanistico, per di più archeologico. Ma lui aveva le idee chiare e a testa bassa è andato avanti con il suo progetto. Adesso, alla soglia dei trenta anni, deve decidere cosa fare da grande: il suo obiettivo sarebbe quello di continuare a scavare e a scovare reperti formando al contempo una famiglia con la sua fidanzata spagnola che… indovinate come si chiama? Rosalia!

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