Émile Chandellier: note di Francia a Firenze

Oggi parla per noiÉmile Chandellier: note di Francia a Firenze
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Émile Chandellier: a #oggiparlapernoi Patrizia di Italia Città d’Arte ci accompagna a conoscere un giovane pianista e compositore d’Oltralpe, amante della letteratura classica e appassionato d’arte.
Ascoltarlo ti riporta indietro a uno di quei palazzi dei secoli passati dove le famiglie intrattenevano i propri ospiti con concerti. Sembra di essere catapultati nella Firenze dell’800.

Émile ha messo un dito sul pianoforte a 4 anni e da quel giorno ne sono passati 20, tutti a suonare. E parlando di repertori, compositori e stili lui riesce a fare di tutto, senza nessuna difficoltà.
Il suo sogno è far concerti sia da solo che in gruppo di musica da camera, purché di personalità forte.

Ciao Émile e benvenuto su Città Meridiane! Un piacere tornare col pensiero in Francia. Di dove sei? Cosa ti porta in Italia?

Sono nato ad Orléans, e ho vissuto prima a Tours e poi a Parigi. Sono a Firenze da quasi un anno. Mi ci porta l’amore per l’arte; frequento tutte le settimane gli Uffizi, e mi piacerebbe fare un lungo giro fra Assisi, Urbino e Siena sulle tracce delle opere del ‘300.
Là dove Rosalia, Michele e Otto sono stati, al nord, la gente è in generale più aperta e accogliente, mentre dalle mie parti non è proprio così. Inoltre in Francia la tecnologia non favorisce connessioni autentiche come fra gli italiani. Voi offrite più spazi di aggregazione, molto apprezzati. Insomma: vorrei tanto restare.

Con che termini francesi definiresti la tua esperienza a Firenze?

Solaire e renaissance. Sembreranno generici, ma per me vogliono dire molto.

Entriamo ora nel vivo delle tue attività: che strumenti suoni?

Il pianoforte. Poi anche il clavicembalo, e ho imparato l’organo per conto mio. Da bambino però sognavo di fare il trombettista. Furono i miei genitori a mandarmi a lezione di piano.

Che tipo di musicista ti consideri?

Quando sono al pianoforte non penso più a niente, è il mio momento sacro. Attraverso la musica mi relaziono con la letteratura, le arti, la gente. Faccio anche sport: calcio, corsa, esercizi muscolari.
Vado in giro con qualche libro nello zaino, e un quaderno dove prendo appunti su tutto quello che vedo, che noto, che sento. E faccio molta composizione.

Caspita!

Per un artista è fondamentale essere positivo, poter creare in armonia. Per me è importante muovermi verso la vita, e difatti da un anno la mia vita è cambiata parecchio. L’ispirazione è qualcosa da mantenere pura, non va intellettualizzata. Perché dovremmo? Se mi siedo a contemplare l’Arno, vedo l’Arno. Punto. Non sto a farci tanti ragionamenti. Poi torno a casa e non ci penso più. La mente si mantiene leggera. E l’arte arriva da sola.

Émile

Sono molto curiosa dei tuoi viaggi agli Uffizi; non sapevo ci fossero formule per accedervi ogni giorno…

Mi sono fatto una card annuale, che costa intorno agli 80€, e ci vado in media due pomeriggi a settimana. Appena arrivato mi interessava tutto, adesso scelgo obiettivi più mirati.

Come al Louvre?

No, no, il Louvre è molto più affollato, come si fa a concentrarsi? Agli Uffizi ci sono meno opere ma relazionate le une alle altre. C’è moltissimo, è vero, ma ben suddiviso in sale dedicate. Il grosso dei visitatori punta ai famosi, così se voglio andare a vedere un autore meno noto, non trovo ressa. Ieri, per esempio, in una sala ero completamente solo. L’ideale.

E cosa fai quando sei lì?

Sto anche un’ora davanti a un quadro, voglio lasciarmi trasportare. Poi faccio una pausa in caffetteria. Infine torno sui miei passi per vedere se la percezione è cambiata. E ogni volta ho la sorpresa di accorgermi di dettagli che non avevo visto prima.

Adesso mi fai pensare a quando Firenze guerreggiava contro tutti…

Difatti fra le città si trovano subito enormi differenze anche nel gusto per l’arte. Firenze è più riservata per esempio di Siena. Firenze è un’arte più del posto, più pura. Una città che nessuno è riuscito a cambiare, tanto era forte il senso della tradizione. Ed è quasi un miracolo che ci sia così tanto di prezioso in una sola città.
Siena ha invece accolto influenze dalla Francia e dal Gotico internazionale. Inoltre esalta di più i particolari, le preziosità. A Firenze c’era la scuola giottesca, che già aveva modernizzato la scuola bizantina, introducendo elementi di prospettiva più profondi, come le pieghe dei vestiti.

E qual è la tua idea di arte?

È qualcosa che deve portare modernità. Proprio come gli artisti del Rinascimento avevano rotto con la tradizione, giacché prima di loro erano tutti o religiosi o artigiani. E non esisteva il concetto di artista come individuo con un nome proprio, tutto si faceva a bottega. Lo stesso vale per i primi compositori. Secondo me è un dettaglio storico non trascurabile, perché alla base di che cosa vuol dire essere un artista contemporaneo.

Un artista all’avanguardia, potremmo dire.

Non esattamente. La parola avanguardia richiama una sorta di ribellione, mi riferisco alle avanguardie del dopoguerra. Nel ‘400 non esisteva l’idea dell’opera d’arte come la intendiamo noi oggi. Tutti lavoravano come artigiani. Ma non si sentivano artisti nel senso attuale del termine; siamo noi che li vediamo così.
L’arte moderna viene percepita spesso come irrilevante, perché non nasce da una scuola di tecnica ma solo da una scuola di pensiero, e quindi è perlopiù filosofia. Mentre gli artisti che andavano a bottega, imparavano le tecniche. Ecco il vuoto da recuperare.

Sei un osservatore acuto. Come vedi il panorama all’alba di questo nuovo anno?

Pieno di sfide. C’è bisogno di un nuovo Rinascimento. La musica classica è molto più che solo pezzi strumentali, comprende anche l’opera. Ci vuole un linguaggio nuovo, una nuova arte. Bisogna trovare il modo di interessare il pubblico, accattivarlo, interconnettersi, e l’opera in questo è un modello perché comprende tutte le arti possibili.
A Parigi c’è una grande tradizione fra écriture e composition, che sono separate e persino rivali! La traduzione italiana sarebbe scrittura e composizione, ma come per altre correnti, l’equivalenza dei termini non spiega fino in fondo l’idea.

Davvero?

Sì, proprio così. La composition è concettuale, mentre l’écriture è tecnica. In pratica, écriture vuol dire che, per esempio, se si suona nello stile di Debussy, lo si fa nel senso di imparare a comporre come lui al 99%. La composition è più libera.

Parliamo ora di letteratura: che cosa leggi?

Niente di superficiale. Classici come Tolstoj, Dostoevskij, Čechov. Tra i francesi prediligo Victor Hugo, Flaubert, Apollinaire, Jacques Prévert. Di Stendhal ho letto Il rosso e il nero, ma non mi ha ispirato granché. Mi piace Racine, uno dei padri del nostro teatro. Ho finito anche l’Inferno di Dante, abbastanza difficile però per uno straniero.

La tua giornata tipo?

Ti posso dare un’idea da quello che ho fatto ieri. Alle 9 caffè al bar, 9:30 lavoro al piano, poi un’ora di sport, alle 2 pranzo, caffè, poi due ore a leggere qualcosa e scrivere, alle 6 un po’ di corsa e per finire altre due ore di composizione in biblioteca.

Proprio dove volevo arrivare: a cosa stai lavorando?

A una mia versione del Macbeth di Shakesperare. Prima faccio il libretto, poi le scene, e il leit motiv. L’opera è per me una passione.

Eppure non sei tanto fan di quella italiana…

Diciamo che sono più nel giro di Mozart che di Verdi o Puccini. Amo tempistiche brevi e dinamiche. Ma è solo questione di gusti personali. Un’opera come Le nozze di Figaro fa presa sugli italiani perché gioca d’azione, mentre Così fan tutte è più alla francese, gioca sulle parole, e per un italiano non è tanto semplice seguire la trama. In Francia va forte la Carmen di Bizet, insieme alla musica di Chopin, Beethoven e dello stesso Mozart. In Italia invece si dà più spazio all’opera, che a sua volta è legata alla storia del paese.

Tu da chi trai ispirazione in particolare?

Sergej Prokof’ev e György Kurtág influenzano ogni momento della mia vita. Non so se mi piacciono perché sono vicini al mio ideale di musica o se il mio ideale di musica è così com’è perché amo così tanto la loro musica. Trovo che Prokof’ev sia stato così in anticipo sui tempi e tanto intelligente come compositore perché sapeva come accattivare il pubblico e portarlo in mondi sconosciuti. Kurtág poi ha sviluppato un linguaggio incredibile, mantenendo un istinto e un modo di comporre molto naturale. Del primo consiglio di ascoltare l’opera Matrimonio al convento del secondo il concerto Les dits de Beter Bornemisza o i Microludes.
Essendo poi francese ritengo di saper suonare al meglio Debussy e Ravel; mentre Bach e Schumann sono quelli che mi stanno più a cuore.

La musica classica è un patrimonio da ritrovare che solo chi la vive può comprendere appieno. Come si fa secondo te ad avvicinare le persone a questo fantastico mondo?

Per me la migliore maniera di avvicinare qualcuno alla musica è… suonare musica! Meglio ancora se abbinata a un film o alla poesia. E poi ascoltare, ascoltare… Il canale Youtube di Classical Music Reference Recording può essere un buon inizio. Ci vuole disciplina, l’orecchio va educato. Oggi facciamo molte cose ma senza concentrazione, e così non sappiamo più niente della nostra vita. C’è tanta gente che parla parla ma non conclude. Io mi dico che bisogna sempre scoprire qualcosa di nuovo. Se non si scopre niente allora c’è qualcosa che non va.

Grazie per essere stato con noi. Un’ultima domanda: conosci qualche altro luogo d’Italia?

Sono stato a Milano, Venezia, Pisa, Bologna e Aosta. Ah, dimenticavo! Due mesi a Catania, perché ci viveva mia sorella.

E in Puglia?

Non ancora, ma che bella Conversano!! Di che epoca sono le facciate delle chiese?

Giriamo la domanda a Rosalia… intanto ci lasci qualche tuo video e i dati di contatto?

Avec plaisir!

YouTube playlist musica da camera: https://youtube.com/playlist?list=PLGKm QTscvZ4TxyXzNeLNj_ocpD3uDV39&si=GCKJJeCWZGDGOvlj

per concerti e collaborazioni: emile.chandellier@gmail.com

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