Alle origini della taranta

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La taranta e le sue origini nel libro “Gioconda miseria – il Tarantismo a Taranto XVI-XX secolo” di Antonio Basile, professore di Antropologia culturale all’Accademia di Belle Arti di Lecce, edito da Progedit, che ci conduce in un viaggio geografico e temporale attraverso quell’area della Puglia denominata Grande Salento che comprende le zone di Brindisi, Taranto e Lecce.

Filo conduttore o di Arianna, se più vi piace, il tarantismo, fenomeno che nel tempo ha suscitato l’interesse di molti studiosi ma anche di un vasto pubblico affascinato dal ballo dei tarantolati, cioè coloro che venivano morsicati o pizzicati dalla tarantola, creatura straordinaria sulla quale sono fiorite migliaia di leggende e credenze, tanto che già nella definizione di cosa sia effettivamente, spesso non si trova accordo. Nel passato, sia nei vari trattati in cui il fenomeno è stato studiato fra cui il più significativo resta “La terra del rimorso” scritto nel 1961 dall’etnologo Ernesto de Martino, che nelle definizioni popolari, la tarantola è stata riconosciuta come una specie di grosso ragno ma anche definita insetto o verme. Ma non è tanto sull’animale, ma su ciò che provoca che si sofferma l’attenzione dell’autore: quello stato di grave malessere che colpisce soprattutto le donne che si recano al lavoro nei campi e che viene lenito solo grazie a un prolungato e complesso rituale coreutico-musicale alla fine del quale la vittima si libera, anche se spesso solo provvisoriamente, del triste stato che il morso o il pizzico della tarantola causa.

Di questo rito rimangono tracce, ormai declinate soprattutto in senso turistico-spettacolare, a Galatina e a Melpignano in territorio leccese. Nella prima si racconta che in città si fermarono gli apostoli Pietro e Paolo, durante il loro viaggio di evangelizzazione, e che San Paolo, riconoscente della calda ospitalità ricevuta da un pio galatinese nel proprio palazzo, dove è ubicata la Cappella a lui dedicata, diede a lui e ai suoi discendenti il potere di guarire coloro che fossero stati morsi da ragni velenosi tramite l’acqua del pozzo posto all’interno della casa. Da qui deriva l’annuale ricorrenza, il 29 giugno, di un rito esorcistico che, per donne e uomini pizzicati dalla taranta, iniziava nelle proprie abitazioni e si concludeva con la “liturgia” nella casa del Santo, dove venivano accompagnate da musicanti provvisti di tamburelli, violini, armoniche e organetti, per ringraziarlo della grazia ricevuta o per invocarla. Solo dopo aver bevuto l’acqua miracolosa ed aver vomitato nel pozzo, la grazia si poteva ritenere ottenuta.
Oltre alla musica e la danza, il terzo elemento magico del rito erano i colori e ancora oggi durante la festa patronale di giugno su qualche bancarella si trovano le cosiddette zagareddhre, nastri colorati, legati anche ai tamburelli, che venivano agitati intorno alla tarantata, per identificare il colore odiato, e quindi strapparlo e gettarlo via per farla guarire.

A Melpignano, si svolge La notte della Taranta, kermesse che porta ogni anno, nella seconda metà di agosto, nella piazza dominata dall’ex convento degli Agostiniani centinaia di migliaia di persone. Ma in realtà, come l’autore fa rilevare attingendo da antiche fonti e da un inedito lavoro realizzato da tre studenti del liceo classico Archita di Taranto loro assegnato dal professore di lettere Emilio Lovarini, fu proprio la città ionica la patria del tarantismo. E proprio da Taranto deriverebbero i nomi di tarantola e tarantella, musica e ballo utilizzati per indurre la guarigione nelle vittime del morso o del pizzico che, come già aveva correttamente stigmatizzato de Martino, erano piuttosto vittime di miseria e di sofferenza.

Diverse sono le testimonianze raccolte che raccontano quanto la taranta fosse diffusa nei vicoli di Taranto Vecchia sino agli anni Trenta del secolo scorso con casi sporadici anche negli anni Sessanta e Settanta prima dell’avvento della grande industria navale. Di questa “eredità” rimangono i coinvolgenti canti popolari trascritti alla fine dell’800 dagli studenti Vincenzo Tursi, Francesco De Lorenzo e Giuseppe Cassano e riportati in appendice dall’autore.

Antonio Basile
Gioconda miseria – Il Tarantismo a Taranto XVI-XX secolo
Progedit
€ 20

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