PhEST è il Festival Internazionale di Fotografia e Arte che si tiene ogni anno a Monopoli per accompagnare la fine dell’estate nel passaggio alla stagione autunnale: inaugurato il 30 agosto scorso, prosegue fino al 3 novembre. Questa nona edizione è incentrata sul tema del SOGNO e sono ben 33 le mostre di artisti di fama internazionale sparse tra piazze, vie ed edifici del centro storico della città.
A Monopoli fino al 3 novembre
Un percorso complesso ed emozionante quello voluto dal direttore artistico Giovanni Troilo insieme a Cinzia Negherbon che si è occupata della direzione organizzativa e ad Arianna Rinaldo e a Roberto Lacarbonara, a cui sono state affidate la curatela fotografica e quella per l’arte contemporanea. Per cui abbiamo deciso di dividere il PhEST in due!
Abbiamo cominciato la nostra visita dalle opere esposte a cielo aperto di Maen Hammad e di Guillem Vidal. Il primo è un fotografo documentarista e scrittore nato in Palestina ma cresciuto in Michigan. Attualmente vive tra Boston e Ramallah e negli ultimi sette anni si è dedicato a documentare la scena dello skateboard palestinese. Le sue fotografie collocate tra il mare e lo Skate Park dove i ragazzi si misurano con le loro prodezze consentono di vivere l’attimo reale delle evoluzioni sullo sfondo di quelle riprese dall’artista nella sua raccolta “Landing” che rappresenta uno sguardo sulla possibilitá di fuga soprattutto mentale che lo skateboarding offre ai giovani palestinesi.
La Palestina e gli scatti di Hammad ritornano nel Focus Palestina, la mostra allestita nel chiostro della Casa Santa. Accanto alle foto degli skater ci sono quelle che rappresentano la memoria fotografica del paese tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, tratte dal libro Against Erasure che racconta la storia di questa terra prima della creazione dello Stato di Israele nel 1948. Nelle sale interne la riflessione si sposta all’oggi con le opere di Adam Rouhana che mostrano recenti scene di vita a Gerusalemme, Gerico, Haifa, Hebron, Betlemme, e di Antonio Faccilongo che racconta le dinamiche di storie d’amore vissute tra conflitto e costrizioni, mentre un filmato girato con il drone su città distrutte provoca la fortissima emozione di immedesimarsi tanto da pensare di essere presenti sul posto.
Tornando all’inizio della nostra visita, al belvedere di Porta Vecchia affacciato sulla mezzaluna della piccola spiaggia cittadina sotto le mura, è esposta la raccolta delle fotografie di Guillem Vidal intitolata “Forgotten Playground”: coinvolgente la sovrapposizione tra gli scatti dei paesaggi in rovina di cui la natura sta riprendendo possesso dopo l’abbandono e l’azzurro del mare di Monopoli.
Il nostro itinerario ci ha poi portato a Palazzo Palmieri, ancora una volta quartier generale del festival. Nel cortile interno cattura l’attenzione la Warka Tower 1.9, progettata dall’architetto Arturo Vittori e presentata alla Biennale di Venezia nel 2013. Si tratta di una struttura costruita con materiali naturali alta circa 10 metri che raccoglie acqua dall’aria tramite condensazione – fino a 100 litri al giorno senza elettricità – offrendo una soluzione sostenibile per comunità in regioni aride.
Ai piani superiori si susseguono le esposizioni tra le stanze dell’imponente palazzo fino al piano terra dove tra i due forni allestiti per gli studenti dell’Istituto Statale d’Arte una volta ospitato qui, sono allestite le sculture in ceramica smaltata di Davide Monaldi.
Al primo piano le fotografie dell’ucraina Polina Kostanda: suo lo scatto tratto da “Polly in Wonderland” scelto come immagine dell’edizione 2024 del PhEST dedicato al sogno.
Tema che torna prepotentemente nelle immagini e nelle installazioni dell’artista polacca Michalina Kacperak: “Soft Spot” riconduce all’infanzia ma anche all’esclusione sociale in quanto racconta la sua storia di figlia di padre alcolizzato insieme alle tre sorelle.
Si cambia completamente prospettiva con le fotografie di Ismail Ferdous, vincitore del Leica Oskar Barnack Award nel 2023, originario del Bangladesh adesso a New York. Nella collezione intitolata “Sea Beach” le immagini sono state scattate sulle spiagge del Golfo del Bengala dove trascorreva l’infanzia con la sua famiglia.
Molto particolare il progetto “Esperanto” di Matthias Jung, fotografo tedesco che ha raccontato la storia di una piccola regione del Belgio che, poco prima della prima guerra mondiale, voleva affermarsi come stato indipendente e fare dell’Esperanto la sua lingua nazionale. Oggi in quell’area, sul confine tra la parte francofona e quella fiamminga, si trova una regione speciale di lingua tedesca con un proprio governo e un’ampia autonomia.
Al secondo piano accoglie il visitatore il Grifone de “La Processione Mistica” di Valentina Vannicola, un’opera fotografica che si ispira alla processione descritta da Dante nel XXIX Canto del Purgatorio, raccolta in sette pannelli nella stanza accanto. Il percorso prosegue con le immagini che ritraggono i “Passengers” del giornalista e fotografo documentarista ispano-iraniano César Dezfuli, specializzato in migrazione e diritti umani su scala internazionale. Gli scatti rappresentano alcune delle 118 persone che furono salvate da un gommone alla deriva a 20 miglia nautiche al largo delle coste libiche.
Foto in bianco e nero sono protagoniste della sezione “Of Thee I Sing. An American Series” con i tre progetti “Spina Americana”, “American Homicide” e “American Avenue” del fotografo texano Richard Sharum che nei suoi lavori riprende gli aspetti più violenti della società statunitense.
Il colore invece esplode nelle opere di Bruce Eesly, artista visivo e giardiniere che vive e lavora in Germania, su fotografie, archivi e immagini generate artificialmente: in “New Farmer” mescola realtà e finzione per raccontare la manipolazione genetica degli anni ’60.
Inquietante anche l’atmosfera ricreata attraverso le opere dell’artista visivo iracheno Nariman Darbandi che in “Desolated Dreams” propone immagini e video 3D ispirati ai cliché del cinema occidentale e soprattutto l’atmosfera di film e programmi TV americani. Ancora America nelle foto di Antone Dolezal, vincitore del Premio Internazionale della PhEST Pop-Up Open Call 2024 con la sua raccolta “Part of Fortune and Part of Spirit” ambientata nel West americano tra Nevada e California che accosta fotografie documentarie e performative.
Il giro va completato immergendosi nel mondo subacqueo di “Lapse” di Pier Alfeo, una videoinstallazione che traduce i segnali acustici sottomarini in “materia digitale”, e poi inserendo l’occhio nei fori dei pannelli in cui sono esposte le micro opere di Nico Palmisano, vincitore del Premio Puglia della PhEST Pop-Up Open Call 2024, che in “Dream” ricostruisce in bianco e nero i paesaggi dei suoi sogni attraverso l’intelligenza artificiale.
Nell’atrio di Palazzo Palmieri trovano sede le fotografie che l’australiana Lisa Sorgini ha scattato al Rione Tamburi di Taranto: uno spaccato intitolato “Terra Madre” sulla maternità difficile nel quartiere più duro e spietato della città.
La residenza d’artista di questa edizione è stata affidata all’artista tedesco Jan von Holleben, che ha curato il progetto “All Humans Be Cats” coinvolgendo 800 bambini, studenti dei 4 Istituti Comprensivi di Monopoli. I disegni dei loro sogni, tra cui è bello perdersi facendosi avvolgere dai fili a cui sono appesi, sono tutti esposti nella mostra The Lollipop Trees al piano terra di Palazzo Palmieri. Nelle stanze più interne le tracce fosforescenti di “Northern Stars” di Celestino Marco Cavalli: le fotografie sono state scattate di notte sul sentiero di montagna che collega l’Italia e la Francia noto come “Passo della Morte”, dopo che Cavalli ha applicato una vernice fosforescente su sassi e rocce per creare una relazione tra i segnali luminosi e le stelle nel cielo, che da sempre guidano le persone che migrano e determinano i loro destini.
Un’altra importante tappa del PhEST è quella del Castello Carlo V che ospita la mostra madrina di questa edizione: la retrospettiva curata da Roberto Lacarbonara e Giovanni Troilo in collaborazione con l’ASAC – Archivio Storico delle Arti Contemporanee “La Biennale di Venezia” dedicata a MAN RAY, per celebrare il centenario del Manifesto del Surrealismo.
Una sala è dedicata ai lavori di Serifa che in “Every Day Art” ritrae un immaginario underground e hip-hop, che allude alla cultura giapponese, ma anche alla pittura rinascimentale, il tutto “condito” dall’intelligenza artificiale.
Nei sotterranei del castello emoziona profondamente la mostra “Where Dreams May Come” di Natalie Karpushenko che lavora su due grandi temi: la natura e l’elemento umano. E per godere appieno della profondità e della potenza del mare niente di meglio che sdraiarsi sul giaciglio al centro della sala da dove ammirare la danza quasi ipnotica delle megattere.
Per la prima volta in assoluto PhEST ha utilizzato anche gli spazi del Monastero di San Leonardo: senza spoilerare vi diciamo che è sorprendente la mostra “Short Stories” di Paolo Ventura che qui ha trovato una perfetta ambientazione. Di stanza in stanza i suoi diorami sulla Seconda Guerra Mondiale basati sulle storie raccontate dalla nonna materna coinvolgono in un racconto delicato e poetico.
Nella seconda parte della visita al PhEST ci dedicheremo agli artisti ospitati nella Chiesa di S. Angelo in Borgo, nella Chiesa di SS. Pietro e Paolo, nelle Stalle della Casa Santa e tra le vie e le piazze del centro storico di Monopoli. Nell’attesa del nostro racconto consultate il programma completo e dettagliato sul sito www.phest.it.
Il PhEST si conferma un’occasione da non perdere di conoscenza di artisti della fotografia.