I Laghi di Monticchio sono gli unici laghi naturali, insieme a quelli di origine glaciale di Laudemio sul monte Papa e di Rotonda alle pendici del monte La Spina, della Basilicata una terra ricca di acque e percorsa da molti fiumi. Gli altri specchi d’acqua sono stati creati artificialmente per esigenze di irrigazione, ma nel tempo sono diventati veri paradisi naturali. Basta fare una passeggiata tra i maggiori laghi artificiali come il lago di San Giuliano, di Monte Cotugno e di Pietra del Pertusillo, per rendersi conto che è effettivamente così.
Gita col quattro zampe ai Laghi di Monticchio
Ma i Laghi di Monticchio, che hanno un’origine vulcanica, possiedono un fascino unico dovuto all’ambiente naturale in cui sono incastonati. Il periodo in cui la loro bellezza esplode letteralmente è quello della fioritura delle ninfee che spiccano sulla superficie dei laghi che a loro volta emergono tra i fitti boschi. Ma anche in autunno questi luoghi, parte di una riserva naturale protetta all’interno dell’antica caldera del Vulture, un vulcano dormiente da oltre 130.000 anni, sono ricchi di magia.
Abbiamo cominciato a visitare questa zona, meta delle gite scolastiche dei nostri anni giovanili, dai ruderi dell’Abbazia di Sant’Ippolito, distrutta dal terribile terremoto del 5 dicembre 1456. Da ciò che ne rimane si intuisce quanto fosse importante e grande in passato, quando fu prima basiliana e poi benedettina. Il Monastero Benedettino di Sant’Ippolito, anche se fisicamente distante dalla Badia di San Michele che candida si staglia nel verde di fronte oltre il Lago Piccolo di Monticchio, faceva parte dello stesso complesso religioso. L’Abbazia fu costruita nell’VIII sec d.C. nel luogo in cui sorgeva la grotta dell’Angelo dedicata a San Michele, adornata da affreschi risalenti alla metà dell’XI secolo.
Ma la storia dei Laghi di Monticchio, formatisi dopo l’ultima eruzione di 125mila anni fa, è molto più antica. Il Bacino di Atella costituisce uno dei siti archeologici più significativi per lo studio della preistoria e della geologia in Basilicata e si colloca tra le più antiche testimonianze del Paleolitico Inferiore della penisola italiana. Qui sono stati rinvenuti frammenti di osso di ominidi vissuti oltre 600.000 anni fa: l’Uomo di Atella, tra i primi ad attuare la caccia grossa.
Bisogna andare ancora più lontano nel tempo per rintracciare l’origine della Bramea, una falena scoperta nel 1963 dall’entomologo Hartig. È proprio grazie all’ambiente unico sul Vulture che questo fossile vivente è sopravvissuto e la sua storia è ben raccontata nel Museo di Storia Naturale, ospitato nell’Abbazia di San Michele ai primi tre livelli, mentre al quarto è presente la Chiesa con la Grotta dell’Arcangelo Michele. Da sottolineare un elemento molto importante per chi come noi viaggia con un cane: sia all’interno del museo che della chiesa i quattro zampe possono entrare liberamente.
L’Abbazia è addossata a un’alta parete di rocce vulcaniche, in posizione elevata sui Laghi di Monticchio di cui si ammira un panorama mozzafiato. Il primo nucleo sorse intorno a una grotta abitata da eremiti basiliani, passò poi ai Benedettini e nel 1059 venne consacrata da papa Nicolò II. Nel XVII secolo s’insediarono i Cappuccini che vi rimasero fino al 1886, anno in cui furono soppresse le corporazioni religiose e tutte le proprietà vennero avocate allo Stato.
Si narra che i frati furono costretti a lasciare il monastero forse anche a causa dell’ospitalità concessa al famoso generale dei briganti Carmine Crocco. Solo con il Concordato del 1929 una parte della Badia fu restituita alla Chiesa. Recenti restauri le hanno ridato l’aspetto originario eliminando le sovrapposizioni barocche ed è stata riportata alla luce la gradinata di collegamento tra la chiesa e l’edicola dell’Arcangelo.
Abbiamo poi visitato il museo in cui si racconta la storia del Vulcano e della fauna e della flora della zona. Tra questi boschi vivevano rapaci e orsi, utilizzati per la caccia e nei circhi romani, ma alcuni scavi archeologici hanno portato alla luce molti fossili di animali ormai scomparsi come cervi, elefanti, ippopotami e tigri dai denti a sciabola. Nei Laghi di Monticchio viveva anche un piccolo pesce chiamato Alborella Volturina, oggi quasi estinto a causa dell’introduzione per la pesca sportiva di specie alloctone e aggressive come la gambusia, il triotto e il persico, originari del Nord Italia. Aggirarsi tra le vasche dell’acquario consente di immergersi completamente nell’atmosfera dei Laghi di Monticchio e nel Museo si possono anche sfogliare le pagine dell’Erbario del Vulture che consente di apprezzare la straordinaria biodiversità di questo luogo.
Prima di salutare la nostra guida, preparata e gentile anche con i tanti bambini presenti e il nostro Otto, abbiamo fatto sosta nelle stanze riservate alla Bramea, la falena risalente al Miocene miracolosamente scampata all’estinzione e che si riproduce solo in un piccolissimo bosco del Vulture che fa parte della Riserva naturale orientata Grotticelle.
Arrivata ora di pranzo abbiamo evitato i locali troppo turistici a bordo lago e abbiamo approfittato del caldo sole autunnale per gustare un tagliere di salumi e formaggi locali proposto con l’ottimo pane dal locale ricavato nell’antica neviera nei pressi del cancello di entrata all’Abbazia e della scala di ferro che conduce dal complesso monastico, oggi affidato ai frati minori conventuali del convento di Sant’Antonio di Melfi, alle sponde del Lago Piccolo.