Incontriamo Leon Marino nel suo atelier a Troia, una sorta di antro pieno di tele, amuleti e ricordi dei suoi viaggi intorno al mondo, collocati in perfetto ordine su scaffali e pareti.

A Troia ospiti di Leon Marino

Leon Marino

Inevitabile cominciare la nostra chiacchierata proprio partendo dai quadri che abbiamo intorno. Così Leon esordisce dicendo che l’arte va sempre spiegata. Non solo quella astratta, ma anche quella figurativa per poter fare un raffronto tra l’allora, cioè il momento in cui un’opera viene realizzata, e l’oggi.

Leon Marino

Col suo modo semplice e diretto ci invita a pensare al Caravaggio e alla sua contemporaneità non per il suo modo di dipingere ma sui soggetti protagonisti dei suoi quadri. E aggiunge: tagliare la testa a qualcuno è un fatto culturale, profondamente legato all’area mediterranea. Presente nella Bibbia e oggi riproposto, purtroppo, dall’Isis. Questo ci dimostra che è sempre possibile il raffronto dell’arte, anche lontana da noi come periodo, con la contemporaneità.

Leon MarinoDopo questa premessa, che ci fa meglio comprendere la personalità dell’artista che per ben diciotto anni ha insegnato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, ci mettiamo comodi e Leon comincia a spiegarci, uno dopo l’altro, i suoi quadri.

Mentre li “racconta” comprendiamo che per Leon la pittura è indissolubilmente legata e amalgamata con la poesia. E ciò è evidente fin dalla lettura dei titoli delle sue opere.

Leon Marino

La prima che ci illustra si intitola “Via Crucis”: qui protagonista al centro della grande tela è una croce collocata su una lumaca molto lenta che simboleggia la vita dell’uomo fatta di cadute e ricadute, ma anche la cultura che con un processo lento ma graduale raggiunge il suo obiettivo.

Leon Marino

Ridotto nella superficie ma fortemente simbolico il dipinto definito “Finché morte non vi separa” in cui viene raffigurato un mafioso, con coppola e lupara d’ordinanza. “Da sempre – ci dice il “pittore mediterraneo” come spesso è stato definito – il linguaggio della mafia si è sovrapposto e ispirato a quello della chiesa e in questo quadro emerge l’ironia di una frase del sacro vincolo del matrimonio legata a loschi figuri che sono fratelli nel sangue giurandosi eterna fedeltà”.

Leon Marino

Del resto lui stesso si considera un “ironista” e proprio l’ironia pungente è alla base di tutte le sue opere che, colorate e dai tratti semplici, trasmettono una grande gioia di vivere.

Leon Marino

Due sono le cose che mi hanno emozionato quando ho avuto il piacere di conoscere Leon sei anni fa sempre nella sua “grotta” vestita di arte e poesia, in piazza Leppe a Troia. La prima riguarda i sogni: Leon Marino parla continuamente di sogni, sottolineando che non c’è un’età per smettere di sognare.

Leon Marino

La seconda è il suo profondo rispetto per l’essere femminile, quel rispetto antico che gli uomini di ogni latitudine riservavano alla dea madre, genitrice di tutte le cose. Nelle sue opere colorate, piene di estro e di ironia, si trovano molte donne protagoniste avvolte negli scialli neri o riprodotte sotto forma di morbide e dolci montagne tonde, quelle che lui ammira dall’affaccio della sua bottega sui Monti Dauni intorno alla sua Troia che non ha voluto lasciare mai.

Leon Marino

Anche questa volta, guardandoci intorno, entriamo nel mondo dell’artista abitato da cuori spinati, croci e angeli. Sono questi ultimi gli altri protagonisti delle tele: angeli che contano le stelle, angeli disoccupati, angeli che perdono l’arco con cui devono centrare il cuore degli innamorati. Per un continuo inno all’amore vissuto o sognato, perché anche gli angeli sognano – aggiunge convinto.

Leon Marino

Leon MarinoGli chiediamo quali sono i suoi ultimi lavori. Ci conduce nell’altra stanzetta della sua grotta eremitica come lui stesso chiama il suo studio: una grande scrivania campeggia al centro mentre sulle pareti ci sono tele dalle dimensioni considerevoli tutte girate verso il muro.

Questo il luogo degli “infiniti”, quadri mai terminati, fatti e rifatti, disegnati e cancellati.

Finché non è convito del risultato Leon non dà vita a un quadro: la tela rimane bianca perché «è l’opera stessa che ti dice “cambiami, o cancellami” ».

E così oggi Leon assomiglia tanto a quella lumaca sulla sua tela, lenta ma determinata, che cammina senza mai girare la testa o le antenne, verso il suo obiettivo, perché la lentezza deve essere considerata un valore in quanto consente di ponderare.

“L’importante è credere in essa: sapere aspettare con pazienza gli eventi, perché tutto si rivela”. E ci ritroviamo a sentirci un po’ lumache anche noi.

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