Se nella visita della cittadina di San Giovanni Rotondo non si può prescindere dai luoghi di San Pio da Pietrelcina cui è indissolubilmente legata, un modo diverso per scoprire la storia del borgo è quello di dirigersi verso il villaggio minerario di Santa Barbara e il sito estrattivo della miniera di bauxite.

Nelle gallerie della miniera di bauxite

Da un po’ di tempo, infatti, è possibile vivere un’esperienza unica nel suo genere e, soprattutto, unica in tutta la Puglia: indossare la tuta e calarsi nelle profondità della terra per ripercorrere le vecchie gallerie e rivivere i luoghi di lavoro dei minatori accompagnati da speleologi locali.

L’iniziativa è stata fortemente voluta dal Centro Studi Miniera di Bauxite di S. Giovanni Rotondo e dal suo presidente Salvatore Mangiacotti che si battono per la valorizzazione di questo sito di archeologia industriale e la sua promozione a livello turistico. (Info per visite: Centro Studi Miniera di Bauxite di San Giovanni Rotondo).

Arrivando si viene subito affascinati dal paesaggio mozzafiato tutt’intorno a Contrada Quadrone sul quale, tra i rossi accesi della terra e l’azzurro del cielo, si erge una sorta di enorme scultura arrugginita: l’ascensore che permetteva ai minatori di scendere e al materiale, la bauxite, di salire.

Quando, fino a questo momento, ho pensato alle miniere, mi è sempre venuto in mente uno sceneggiato che andava in onda quando ero molto piccola e del quale non rammento la trama, ma l’atmosfera cupa e triste della vita dei protagonisti, i minatori e le loro famiglie. Lo sceneggiato, intitolato “E le stelle stanno a guardare” basato sul romanzo omonimo di Cronin, raccontava la vita grama dei minatori inglesi negli anni venti del Novecento. Una vita, poi, non molto diversa, nel lavoro duro e pieno di rischi, da quella vissuta dai minatori della miniera di bauxite di San Giovanni Rotondo.

Ma la miniera per San Giovanni Rotondo fu, per ben 34 anni, dal 1939 anno della sua apertura al 1973 quando venne definitivamente chiusa, una fonte di reddito che consentì a molte famiglie della zona di aumentare le proprie prospettive di vita più agiata rispetto a coloro i quali lavoravano nei campi o accudendo gli animali.

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La miniera di bauxite di San Giovanni Rotondo, infatti, è stato il più importante giacimento italiano con sei chilometri di gallerie su ventidue livelli e scavate nelle viscere della terra fino a quasi 150 metri di profondità. Il giacimento fu scoperto per caso da Giovanni Pompilio, un pastore che emigrò in America dove fu impiegato nelle ferrovie. Lo scopritore non fu ricompensato ma fu poi insignito di un attestato al merito del lavoro e ripagato con 500 Lire.

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Inizia così la storia della miniera di San Giovanni Rotondo. Siamo nel 1939, partono i lavori per la costruzione dell’impianto e di un vero e proprio villaggio operaio, con uffici e le abitazioni destinate agli operai fuori sede, per un totale di 150 posti letto e un refettorio per 100 persone. Vengono anche costruiti un cinema, una sala convegni e lo spaccio per i viveri. Il materiale estratto veniva spedito al porto di Manfredonia e poi inviato a porto Marghera, dove un altro stabilimento della società terminava la lavorazione.

I primi anni di attività furono molto intensi e purtroppo accompagnati dalle prime morti sul lavoro: nel 1940 nel giro di pochi mesi persero la vita Matteo Siena e Matteo Notarangelo. Furono loro le prime vittime di una lunga serie, che raggiunse il numero di 27 decessi fino al momento della definitiva chiusura. Senza contare i molti minatori che si ammalarono di silicosi, di ulcera gastrica e di altre malattie tipiche dell’insalubre lavoro in miniera. L’incidente più grave ebbe luogo il 27 luglio 1951 quando durante una violenta alluvione tre minatori furono travolti.

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Altri momenti tristi per il paese furono quelli successivi alla chiusura della miniera, quando molti per continuare a lavorare furono costretti a emigrare al Nord.

Ma perché fu deciso di chiudere la miniera? L’intensificazione delle ricerche di giacimenti di bauxite in Italia negli anni trenta nacque dalla necessità di aumentare la produzione nazionale di alluminio, incentivata principalmente per sostituire materiali di cui era povera, come il rame.

Tuttavia, il clima creato dalla politica autarchica fece compiere all’azienda scelte che una strategia dettata da logiche squisitamente economiche avrebbe probabilmente evitato. Insomma l’estrazione era divenuta antieconomica e dal 1967 cominciarono i primi licenziamenti, fino a quando nel 1973, 31 dei 70 minatori ancora alle dipendenze della Montedison, spontaneamente, occuparono la miniera: la stampa nazionale li definì sepolti vivi facendo commuovere l’Italia intera. L’occupazione della miniera durò 9 giorni, ma la battaglia fu inutile, la miniera chiuse e gli ultimi operai furono trasferiti nelle fabbriche del Nord.

Conoscerne la storia ha amplificato la grande emozione per noi di poter scendere nei cunicoli della miniera in cui sembra ancora di sentire il rumore secco e continuo dei picconi sulla roccia tra spazi angusti, polvere, umidità, turni di lavoro di otto ore, che coprivano il giorno e la notte.

Certo è difficile immaginare oggi tutto ciò, avvicinandosi al Villaggio Santa Barbara attraverso una stradina di campagna ombreggiata da eucalipti ad alto fusto che si insinua sulla piana e conduce in un magico posto riemerso dal passato per sfidare il futuro grazie alla famiglia Placentino.

minieraDonato con la moglie Giuseppina Ercolino e i loro due figli Michele e Gianluca, hanno recuperato il villaggio minerario trasformandolo in una originale struttura ricettiva nella quale le casette delle famiglie dei minatori sono state ristrutturate senza stravolgere le forme originarie e trasformate in confortevoli alloggi per permettere agli ospiti di dormire nel bel mezzo della campagna, negli stessi spazi un tempo abitati dai lavoratori delle gallerie estrattive.

Mentre nell’ex mensa è stato allestito il ristorante dove Giuseppina propone i piatti della tradizione garganica con ingredienti che provengono direttamente dalla campagna circostante in cui la famiglia produce olio d’oliva, formaggi, latte, vino e alleva all’aperto polli, conigli, vitelli e agnelli, oppure da selezionate aziende agricole locali.

2 COMMENTS

  1. Apprezzo molto il recupero di attività del passato; una miniera, un antico borgo, una vecchia linea ferroviaria. Lo trovo un modo intelligente di fare turismo. Far rinascere un luogo attraverso la sua storia.

  2. Anche noi ne siamo entusiasti! Abbiamo già raccontato del recupero della linea ferroviaria tra Bonassola e Levanto in Liguria ora pista ciclo-pedonale con vista mozzafiato e parleremo a breve di un’altra interessante rinascita, quella di un intero borgo aperto all’ospitalità in Molise.

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