La montagna non è un elemento soltanto naturale, è al contempo un luogo diverso che ha da sempre esercitato un grande fascino. E’ come se l’altitudine estrema aprisse a orizzonti infiniti oltre i limiti della realtà ordinaria, oltre i confini dello stesso universo.
Attraverso la fotografia e la video installazione, la mostra “Mountains” presenta la montagna come luogo di stimolo per la ricerca artistica e crea una narrazione che invita l’osservatore a confrontarsi con essa.
In mostra le foto e le opere video di quattro artiste: Janet Biggs, Rikke Flensberg, Chrischa Venus Oswald e Helena Wittmann.
Janet Biggs è un’artista americana, nota soprattutto per il suo lavoro nel campo del video, della fotografia e della performance. Biggs sfida il destino ogni volta che crea un video, concentrandosi su atti di estrema fisicità che sono difficili da realizzare e da filmare.
Ha recentemente viaggiato in un ambiente artico estremamente impegnativo attraverso la tundra ghiacciata nelle isole Svalbard per realizzare “The Arctic Trilogy”. Nel suo ultimo progetto esplora la creazione e la perdita di memoria da una prospettiva personale, fisica e scientifica. I suoi lavori, esposti in importanti musei e gallerie in tutto il mondo, mostrano spesso individui alle prese con situazioni o paesaggi estremi. Vediamo motociclisti tentare di superare i record di velocità sulla pista del Bonneville Salt Flats, nuotatori olimpionici di nuoto sincronizzato sfidare la forza di gravità, minatori di zolfo all’interno di un vulcano attivo, o una carovana di cammelli che attraversa il deserto del Taklamakan nella parte occidentale della Cina.
In “Warning shot”, l’opera presente in mostra, Biggs esplora la complessità della condizione umana facendo emergere l’intreccio complesso di libertà e costrizione, eccellenza e fragilità, forza e solitudine. La osserviamo ammirare le infinite possibilità della natura e subito dopo, nel tentativo di lasciare un segno, tirare un colpo, consapevole che ogni azione umana, che si voglia o no, distrugge l’armonia della natura. La natura, vista a volte come grembo, altre come luogo minaccioso, è al centro della ricerca della danese Rikke Flensberg, messa in relazione con le caratteristiche e i limiti della vita dell’uomo contemporaneo. I suoi lavori, esposti anch’essi in importanti rassegne di video arte, si concentrano su un tema, i processi naturali e il rapporto uomo natura, e le reciproche influenze, che ha una lunga tradizione nel documentarismo oltre che nel campo dell’arte. I suoi mezzi espressivi privilegiati sono la fotografia, l’installazione e il video.
Nel video in mostra “If a Universe Can Be Imagined, It Exists“ l’artista lavora con le nozioni di soggettivo contrapposte a quelle di oggettivo come veicolo per l’immaginario. Manipolando foto, suoni e animazioni crea uno spazio onirico, frutto dell’immaginazione, osservato attraverso una finestra , dove un’esistenza interamente soggettiva diviene possibile nella misura in cui essa è stata immaginata. L’artista riflette sulla condizione dell’essere umano, coinvolto e appagato dalla propria esistenza fisica, e riluttante a mettere in discussione l’esistente.
Rikke Flensberg guarda all’immaginario non solo come paesaggio utopico, ma anche come paradigma distopico. Esso distrugge tanto quanto crea, ma solo attraverso la sua
conoscenza sarà possibile pensare a un mondo diverso e a una comunicazione reale fra individui.
Il linguaggio preferito dall’artista tedesca Chrischa Venus Oswald, il cui lavoro comprende varie discipline, come la fotografia, la video-performance e la poesia, è quello della performance. Nella sua ricerca mette a fuoco da un lato le problematiche che si riferiscono alla condizione umana, dall’altro i codici di comportamento e l’identità dell’individuo nel rapporto con la società nel suo complesso. Il suo lavoro approfondisce in particolare le relazioni interpersonali e l’intimità dei gesti e dei comportamenti degli individui, attraverso un approccio performativo, che mira far riflettere lo spettatore sulle trasformazioni che riguardano la nostra società.
Nella serie di fotografie intitolata “Can’t Escape” l’artista riflette sul fatto che il paesaggio abbia una lunga tradizione nella storia dell’arte, e che sia al contempo un motivo abbondantemente fotografato dai fotografi dilettanti che caricano le loro foto sul web. La natura è così sempre più spesso percepita “di seconda mano” attraverso il mirino. Per il suo progetto era interessata a dare alle immagini digitali immesse nel web, ancora una dimensione fisica trapiantandole in un vero e proprio paesaggio. Così ha realizzato un abito fatto di fotografie di paesaggi montani che ha trovato navigando sul web, paesaggi simili a quello che fa da sfondo-ambiente nella sua fotografia. In questo scenario la persona all’interno della tuta è colta nel tentativo, chiaramente destinato a fallire, di fondere copia e originale del paesaggio, riunendosi con la natura.
Nel video in mostra riflette sulla montagna come luogo mitico, simbolo di prosperità e abbondanza. La video performance MMXVII è vagamente collegata al suo precedente lavoro MMXIII (2013), che si occupa anch’esso di temi come la verginità e la fertilità, la creazione, la morte e la nascita ed è ispirato al mito di Persefone.
MMXVII (2017) riflette sulla natura e sulla fertilità, su miti e rituali, collegandosi al tema del raccolto. L’allestimento ricorda un altare o una montagna – luoghi connessi a culti e miti- in cui venivano fatte le offerte agli dei. Anche il tipo particolare di montagna, il vulcano, è fortemente associato a diversi significati. La performance cerca di sedurre l’immaginazione dello spettatore per condurlo a riflettere sul genere femminile e il potenziale femminile della creazione.
Helena Wittmann vive ad Amburgo e lavora con diversi media, soprattutto film e video. Docente presso l’Accademia di Belle Arti di Amburgo, il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale in mostre e film festival.
Nella sua pratica artistica gli interni domestici, per lo più stanze semplicemente arredate, costituiscono molto di più che le sedi nude di una trama.
Lei interroga e contestualizza i confini di queste stanze, in esse, con esse, su di esse e lungo di esse. I suoi video richiedono una pianificazione dettagliata e preliminare perché è interessata in particolar modo a quello che penetra dall’esterno all’interno di uno spazio definito: la luce, il rumore, la gente. Il soggetto delle sue opere attuali è la percezione spaziale dell’oceano. Le nuove opere sono frutto della collaborazione con l’antropologa Teresa Giorgio e il sound artist Nika Breithaupt.
Nelle sue installazioni video la ricerca sul suono ha sempre avuto un ruolo significativo, come nel lavoro in mostra “Later” che è uno dei primi realizzati dall’artista.
Nel video, ambientato a Quixadá in Brasile, il sole va giù e l’oscurità si rivela attraverso sottili strati di luce sulla montagna, che in ultimo vediamo cadere nel buio. La luce continua al suo interno. Mentre il giorno diventa notte, l’inquadratura nel video rimane la stessa. L’immagine, però, cambia continuamente. La relazione tra il primo piano e lo sfondo è alterata dalla nebbia e dal passaggio della luce. L’oscurità nel suo video non è solo assenza di luce. È chiaramente udibile.
Si ringrazia per la collaborazione la Galleria Cristin Tierney , NewYork, NY.
Muratcentoventidue-Artecontemporanea
Via G. Murat 122/b – Bari
Inaugurazione: sabato 11 febbraio 2017, ore 19.00
Periodo: 11 febbraio – 31 marzo 2017
Orario di apertura dal martedì al sabato o su appuntamento dalle 17.00 alle 20.00
Info
334.8714094 – 392.5985840 -3938704029
mailto: info@muratcentoventidue.com – http://www.muratcentoventidue.com
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