Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore: la Liguria delle Cinque Terre di fama mondiale lungo il verde litorale a ridosso de La Spezia. Qui è la natura a creare capolavori di forme e prospettive che si colgono percorrendo un tratto di 18 chilometri dichiarato Patrimonio dell’Umanità e scandito dai 5 celebri borghi colorati.
Dalle spettacolari Cinque Terre a Zena
Da Monterosso, più a ovest, a Riomaggiore, attraverso Vernazza, Corniglia e Manarola, il panorama è sempre sensazionale: da una parte il mare e dall’altra un paesaggio unico, risultato delle fatiche spese nei secoli dagli abitanti per modellare un territorio ostile costruendo chilometri di muretti a secco per ricavare piccole fasce di terra chiamate cian, coltivate a vite, olivi, limoni e orti. Un panorama che ci manca, in quanto conosciamo il litorale fino a Levanto, considerata la “porta” delle Cinque Terre.
Avevamo già allora il desiderio di andare alla scoperta di questa parte della Liguria, che ne rappresenta il volto più genuino fatto di case dalle facciate colorate e creuze de ma, le ripide stradine di pietra e mattoni cantate da Fabrizio De André. E raggiungere Monterosso, dove il poeta Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura nel ’75, trasse ispirazione per alcune delle poesie della raccolta “Ossi di seppia”.
In una celebra i limoni e percorrendo la litoranea si capisce subito perché: il loro profumo si mescola a quello della macchia mediterranea, della salsedine ma anche a quello delle fritture di pesce che si diffonde dalle case. Frittura in cui protagonista è il pesce azzurro con attrice principale l’acciuga delle Cinque Terre, inserita da Slowfood tra le “specie protette”.
Anche a Vernazza le case sono colorate. Qui prevalgono tinte tra il rosa, il rosso cupo e il giallo nel borgo che sembra precipitare dalla roccia sulla piazzetta lambita dalle acque del porticciolo, sulla quale si affaccia la chiesa di Santa Margherita d’Antiochia.
Per inerpicarsi fino a Corniglia ci vuole forza e tanta buona volontà. Infatti, per raggiungere il borgo dalla stazione ferroviaria occorre salire la Lardarina: 33 rampe e 377 scalini, ma per chi non se la sente di affrontare a piedi questa salita c’è la strada servita da bus ecologici. Corniglia è menzionata da Boccaccio nel “Decamerone”, nella novella che narra le disavventure dell’abate di Cluny, il quale priglioniero del brigante Ghino di Tacco e sofferente di mal di stomaco, veniva curato dallo stesso carceriere con fette di pane abbrustolito e un bicchiere di Vernaccia di Corniglia.
Ma il luogo più romantico delle Cinque Terre è Manarola. Perché? Ci hanno detto che per rendersene conto bisogna andarci e percorrere la stradina che porta al mare dove si allineano le barche dei pescatori tirate in secca quando sopraggiunge tempesta. Questo è il luogo perfetto per gustare lo Sciacchetrà, lo straordinario vino dolce delle Cinque Terre, che amo sin da piccola quando il mio papà mi faceva bagnare le labbra nel suo bicchiere. Ottenuto da uve appassite all’aria, lo Sciacchetrà ha un colore ambrato, una gradazione di 17°, un profumo con sentore di albicocche e miele d’acacia e un gusto che va dal dolce al quasi secco. Vino raro e costoso, in quanto ricavato dalle viti coltivate sui terrazzamenti difficili da vendemmiare, piaceva a Giovanni Pascoli e a Gabriele D’Annunzio.
E a questo punto, per rimanare in tema di gusto, è doveroso assaggiare il cappon magro, specialità della cucina ligure tradizionale. Nata come rancio dei gallioti, i rematori delle galee genovesi, nel XIX secolo fu trasformata dai ricchi borghesi nel piatto più sontuoso di Liguria: verdure condite con salsa verde e adagiate su gallette bagnate con acqua e aceto. Gli strati di verdura si alternano con altri di pesci e crostacei. E l’insieme è guarnito da scampi, gamberi e rondelle di aragosta.
Per smaltire, consigliata la passeggiata lungo la strada più famosa delle Cinque Terre, la Via dell’Amore, che si snoda tra Manarola e Riomaggiore in un sentiero intagliato nella roccia lungo appena un chilometro.
E poi? Genova! Ci sono stata tanti anni fa con il mio papà in una circostanza non proprio piacevole e poi una seconda volta in visita all’Acquario con i miei nipotini, ma mi piacerebbe tornarci e approfondire la visita di questa città ricca di arte e di storia.
Girare per i caruggi tra i profumi di focaccia, farinata e pesto, ma anche di spezie, incenso e musiche africane e poi raggiungere via Garibaldi, che ha la più alta concentrazione di dimore nobiliari del Vecchio Continente, che appartenevano alle famiglie che per secoli dominarono la città: Doria, Spinola, Grimaldi, Pallavicino, Podestà. Suggestivi i nomi, da Palazzo Bianco, che conserva dipinti di scuola fiamminga, a Palazzo Rosso che ospita diverse tele di Van Dyck, fino a Palazzo Tursi, sede del Municipio in cui è custodito il violino di Niccolò Paganini.
E poi guardarla dal mare con un giro in barca per ammirare lo straordinario profilo della città, un anfiteatro naturale incorniciato da colline e da mura fortificate. E anche dall’alto, salendo sull’ascensore panoramico del Bigo, che ruotando su se stesso, mostra il panorama mozzafiato di Genova a 360°. Oppure, più faticosamente, affrontando i 200 dei 375 scalini della Lanterna, faro e simbolo della Superba fin dal Cinquecento.
(Foto da cittameridiane.it e pixabay.com)