Napoli a tavola: davvero arduo scegliere soltanto un piatto! Come si fa a esaurire le infinite possibilità golose che questa città offre? Napoli, insieme a Palermo, è la capitale dello street food. Ed è la cucina partenopea che ha portato nel mondo i piatti e gli ingredienti di quella che è considerata la cucina italiana.
Napoli a tavola e la cucina di strada
Allora da dove partire per portare Napoli a tavola? Dagli street food per eccellenza: pizza e cuoppo. Cominciamo con la pizza nelle sue versioni classica e fritta.
Pare che la pizza napoletana sia nata nel 1600, ma non se ne conoscono le origini con certezza. Invece è certa la nascita della Pizza Margherita: era il 1889, anno in cui Re Umberto I e la Regina Margherita visitarono Napoli. Fu allora che il pizzaiolo Raffaele Esposito, creò quella con basilico, formaggio e pomodoro, un omaggio al tricolore, che fu molto apprezzata dalla Regina e da lei prese il nome.
La pizza fritta è invece nata nel dopoguerra ed è costituita da un impasto richiuso su se stesso a forma di piscitello, battilocchio o mezzaluna, ripieno e fritto in olio bollente. A Pasqua si mangia la pizza chiena, una frolla ripiena di ricotta, prosciutto e salame, mentre a Natale è immancabile la pizza di scarola, una specie d focaccia al forno ripiena di scarola, capperi, acciughe e olive nere.
Il cuoppo è un cartoccio a forma di cono, pieno di vari tipi di frittura. Si può scegliere il cuoppo di terra, con crocché di patate chiamati cazzilli, arancini, zeppole, verdure pastellate, mozzarelline e polenta fritta, e il cuoppo di mare, con alici fritte, baccalà fritto, anelli di calamari, chele di granchio, gamberi. Ma perché scegliere? Sono squisiti entrambi!
A tavola, di domenica, il posto d’onore è riservato al ragù o come si dice a Napoli “o rrau”. Nella versione partenopea, così come in quella pugliese, la carne non è macinata ma tagliata a pezzi e va cotta insieme alla passata di pomodoro a fuoco bassissimo per almeno sei ore: la salsa deve peppiare, ovvero sobbollire lentamente. Un altro segreto: a fine cottura un pizzico di zucchero bilancia l’acidità e qualche fogliolina di basilico fresco dona un intenso profumo.
Se Napoli in strada rimanda alla pizza, Napoli a tavola porta la pasta dove fin dal 1600 diventa il piatto di elezione del popolo quando il prezzo della farina scende e la carne diventa troppo costosa. Una delle ricette è quella della pasta con le patate, un grande classico arricchito da pomodori freschi e scorza di parmigiano e provola a pezzi che sciogliendosi conferisce un gusto deciso al tutto. La consistenza del piatto deve essere brodosa e filante proprio come quella che abbiamo mangiato da Nennella nel nostro ultimo giro napoletano.
Tra le tante proposte di Napoli che portiamo sulla nostra tavola ci sono anche il gattò di patate, i polpi alla Luciana e, a Pasqua, casatiello e pastiera.
La prima è una ricetta napoletana ma con zampino francese dovuto agli chef d’Oltralpe al seguito dei Borboni che prevede come ingredienti patate, uova, mozzarella, provola, salame e prosciutto cotto. Il risultato? Una pizza alta, soffice e dalla crosta al sapore di burro e pangrattato.
Un altro mio “pezzo forte” è rappresentato dai polpi alla Luciana che spesso preparo con quelli pescati e arricciati da Michele in riva al mare. Il nome della ricetta deriva dal quartiere marinaro di Santa Lucia dove è nata questa preparazione. Si cucinano in casseruola, cotti in salsa di pomodoro con capperi e olive e si possono mangiare da soli come secondo piatto o con gli spaghetti come primo: in entrambi i casi non riuscirete a non leccarvi i baffi anche se non li avete.
Uno dei simboli pasquali della Napoli a tavola è il casatiello la cui forma rappresenterebbe la corona di spine di Gesù sulla croce. Questo rustico viene preparato in occasione del Sabato Santo ed è un impasto a base di strutto arricchito da provolone e salame napoletano e va mangiato con fave fresche, soppressata e ricotta salata.
Come dolce, invece, la regina delle feste pasquali è la pastiera, che secondo alcuni fu “inventata” dai pasticcieri di Ferdinando di Borbone, secondo altri sarebbero state invece le suore del convento napoletano di San Gregorio Armeno a creare la torta originale a base di di grano, ricotta, zucchero, uova, e aromi d’agrumi.
Anche la sfogliatella pare si deve a una suora del convento di Santa Rosa ad Amalfi ma fu il pasticcere napoletano Pintauro nel 1818 a dar vita all’attuale dolce nelle due versioni riccia e frolla.
E a proposito di dolci come non parlare del babà? Lo sapete che uno dei dolci più amati della pasticceria napoletana ha in realtà origini francesi, e più precisamente dell’Alsazia-Lorena? Si tratta di un dolce da forno a pasta lievitata particolarmente asciutto e spugnoso successivamente imbevuto nel rum o nel limoncello.
Dopo questa abbuffata qual è la ricetta che porta Napoli a tavola a casa nostra e che vi proponiamo?
Un classico della grande tradizione culinaria partenopea: le candele alla genovese.
Candele alla genovese
Ingredienti per 4 persone
• Candele 320 g
• Vitello lacerto 700 g
• Carote 2
• Sedano 2 coste
• Alloro 1 foglia
• Cipolla bianca 1 kg
• Vino bianco 1 bicchiere
• Parmigiano Reggiano DOP q.b.
• Olio extravergine d’oliva q.b.
• Sale q.b.
• Pepe nero q.b.
Preparazione
Mondate e affettate le cipolle a fette sottili. Passate alle carote, lavalete sotto acqua corrente e riducetele a cubettini. Così pure con le coste di sedano.
Tagliate a dadini la carne. In una padella grande, scaldate l’olio e versate la cipolla e la foglia di alloro. Lasciate appassire per qualche minuto, poi aggiungete le carote e le coste di sedano. Cuocete a fiamma media con il coperchio per almeno 10 minuti. Poi versate la carne. Rosolate a fiamma vivace per 5 minuti. Regolate di sale. Cuocete per circa 2 ore con il coperchio, mescolando di tanto in tanto e aggiungendo un po’ d’acqua se dovesse asciugarsi eccessivamente. Al termine delle 2 ore, toglete il coperchio, aggiungete il vino e alzate la fiamma per sfumare. Continuate la cottura per un’altra ora.
Col sugo ottenuto condite le candele, passatele in padella e lasciate amalgamare il tutto. Portate in tavola caldo e finite il piatto con una generosa spolverata di parmigiano.