Viene definita così la penisola di Capoliveri, la costa più estesa dell’isola dell’Elba che fa capo al piccolo borgo su una terrazza del Monte Calamita. Non solo per la sua caratteristica forma di dito proteso nelle azzurre acque del mar Tirreno, ma anche e soprattutto per la natura selvaggia di questa zona dell’isola, garantita nel tempo dalla attività estrattiva, proseguita fino alla metà degli anni Ottanta, che ha collocato quest’area al di fuori delle mete più turistiche.
La penisola dalla natura selvaggia
Quello che si respira qui è un tempo sospeso tra chilometri di costa caratterizzati da piccole insenature avvolte da una lussureggiante macchia mediterranea che si spinge fino al mare cristallino grazie alle correnti che ne ricambiano costantemente le acque, assolate scogliere, spiagge, baie e calette, fazzoletti di ghiaia e lingue di bianchissima rena.
Nel territorio di Capoliveri si innalza il Monte Calamita, ricco di giacimenti minerari. Ai suoi piedi, verso il mare, si estende la penisola di Calamita, vero gioiello paesaggistico e naturalistico e regno incontrastato dei gabbiani che qui nidificano e che hanno dato il nome alla Costa dei Gabbiani, dove sono incastonati cale e arenili tra i più suggestivi dell’isola, alcuni dei quali accessibili solo via mare.
Noi abbiamo avuto il privilegio di poterci bagnare nelle meravigliose acque di alcune di queste calette immerse nel verde e lambite dai pini marittimi della Tenuta delle Ripalte, alla punta estrema della penisola di Capoliveri. Ve ne parliamo nel post in #Sognidoro tutto dedicato alla Tenuta https://www.cittameridiane.it/tenuta-delle-ripalte-qui-parla-la-natura/ e alla magnifica esperienza di essere stati ospitati nel borgo agricolo ottocentesco, ex riserva di caccia tra le preferite del re di Spagna.
La penisola di Calamita deve il suo nome alla magnetite di ferro di cui è ricca: il minerale si estraeva già in epoca etrusca e romana. L’abbondante presenza di magnetite in tutta la zona ha alimentato le leggende popolari che attribuivano le cause dei naufragi al minerale che attraeva le parti metalliche delle navi facendole urtare inesorabilmente contro le scogliere di Punta Calamita. Dato certo è che in questi luoghi ancora oggi l’ago della bussola viene notevolmente perturbato.
Il minerale si estraeva, storicamente, a cielo aperto, ma dagli anni Sessanta, scoperta una consistente vena sotterranea, si è avviata l’escavazione della galleria del Ginevro, proseguita fino al 1982, data della chiusura della miniera.
Oggi è possibile godere di questo paesaggio lunare, segnato dalle profonde e luccicanti escavazioni rossastre attraverso la visita guidata alle Miniere di Calamita (info e prenotazioni: +39 393 9059583 – +39 0565 935492 – minieracalamita@gmail.com – www.minieredicalamita.it), alla quale si accede dalla strada sulla quale si trova l’interessante museo sulla storia mineraria ricavato nella vecchia officina.
Dalla polverosa pista si scende verso la costa dove veniva lavorato il materiale sulla quale vecchie escavatrici, ormai largamente arrugginite, giacciono ai piedi di versanti dalla natura rocciosa. Nella spiaggia sottostante blocchi e scorie di ematite, pezzi di sulfurea e giallastra pirite, macigni rosseggianti di ocra, limonite, i verdi sassi con i microcristalli di epidoto, azzurrite, malachite e crisocolla raccontano la storia gelogica non solo dell’isola ma dell’intero pianeta.
La galleria del Ginevro scende fino a –52, ma la porzione aperta al pubblico è quella a – 6 metri sotto il livello del mare. Camminare nel cuore della terra e nell’oscurità dei tunnel, indossando gli appositi caschetti e muniti di torcia per osservare i tanti fenomeni interessanti dal punto di vista geomorfologico e gli ambienti in cui ancora pulsa la vita dei minatori è un’esperienza che sicuramente ci sentiamo di consigliare perché completa l’immagine di un’isola tanto ricca di minerali da essere definita lo “scrigno di Plutone”.
Altra particolarità che si nota sia nella zona mineraria di Rio Marina che nella penisola di Calamita sono i laghetti rossi, macchie brune in mezzo al verde intenso della natura dell’Elba. Più o meno estesi a seconda della stagione, hanno un colore che vira dal rosso scuro al violaceo con sfumature giallastre, che variano a seconda dell’ora del giorno. Le tonalità sono date dalla componente ferrosa del terreno che si stempera nell’acqua.
Vi suggeriamo un percorso non particolarmente impegnativo per scoprire più da vicino questo fenomeno, quello che si insinua tra la macchia mediterranea occhieggiando sul mare turchese e la sabbia nera anch’essa di origine ferrosa, verso il Laghetto di Sassi Neri: il lago, di acqua dolce, si è formato per riempimento del pozzo minerario di scavo della miniera sovrastante, da cui venivano estratte adularia, goethite, magnetite, pirite e tormalina.