L’isola della Giudecca appartiene al sestiere di Dorsoduro chiamato così per il terreno solido e rialzato: una zona della città che ha conservato nel tempo il suo originale carattere di periferia, rispetto alle aree centrali di Rialto e San Marco.
La doppia anima di Venezia
Qui la marea dei turisti non arriva se non in misura ridotta ed emerge la bellezza più segreta di Venezia, dove l’atmosfera è rimasta quella dei secoli passati, insieme alla ricchezza culturale e alla bellezza di molti edifici, chiese e palazzi.
Che da una parte si affacciano sul Canal Grande e dall’altra sulle lunghissime fondamenta delle Zattere, il molo costruito nel 1516 dal nome che deriva dalle imbarcazioni che portavano fin qui, lungo il Piave, il legno delle foreste del Cadore. Molto piacevole passeggiare sulle banchine ammirando le ampie e stupende vedute della laguna sull’isola della Giudecca, che cambiano a ogni ora del giorno.
Un breve percorso conduce alla Fondamenta Venier de’ Leoni, dove si trova Ca’ Corner dei Leoni che, ideato come palazzo a quattro piani nel XVIII secolo, non venne mai innalzato oltre il pianterreno, e per questo venne soprannominato Palazzo Nonfinito.
Nel 1949 l’edificio venne acquistato dalla miliardaria americana Peggy Guggenheim, brillante ereditiera, collezionista e mecenate dell’arte, che vi collocò la sua straordinaria collezione di opere d’arte che consiste di 200 dipinti e sculture, rappresentativi di quasi tutti i movimenti artistici moderni e contemporanei.
Tra gli artisti esposti Picasso, Pollock, Mirò, De Chirico, Magritte, Mondrian, Kandinskij, Ernst, suo ex marito, e tanti altri. Il pezzo più provocatorio è l’Angelo della cittadella di Marino Marini, un prominente uomo seduto su un cavallo, eretto in tutti i sensi, che dalla terrazza esterna guarda verso il Canal Grande.
Quello di visitare il palazzo e di ammirare la splendida collezione dell’eccentrica Peggy, che amava tanto i suoi 14 barboncini bianchi da voler essere sepolta accanto a loro nel giardino della sua residenza veneziana, era un nostro grande desiderio che abbiamo potuto esaudire in questo nostro giro in laguna. Ed è stato emozionante immergersi nel suo mondo, aggirandosi tra i suoi salotti e le sue stanze ammirandole come erano nelle foto in bianco e nero sulle pareti, rimanendo incantati davanti ai suoi stravaganti gioielli e la testiera in argento del suo letto disegnati da Alexander Calder.
La nostra passeggiata è continuata verso il ponte in legno dell’Accademia da dove si ammira uno degli scorci più belli sul Canal Grande. Quasi di fronte, nel cuore della zona più elegante di Venezia, c’è Campo Santo Stefano, che nonostante sia frequentatissimo è rimasto un angolo veneziano al cento per cento.
Qui scorre un fiume di gente, proprio come ai tempi della Serenissima, quando a Campo Santo Stefano si svolgevano le corse dei tori ed era ricoperto d’erba eccetto un viale lastricato di pietra, il “liston”. E ancora oggi “fare il liston” in veneziano vuol dire passeggiare, senz’altro scopo che guardare ed essere guardati.
E’ piacevole girovagare sulla piazza, lasciandosi accarezzare dal sole caldo e guardare il via vai intorno ai due pozzi e alla statua di Nicolò Tommaseo. Intanto si fa ora di pranzo e mentre eravamo intenti a consultare mappa da una parte e navigatore sul cellulare dall’altra, si è avvicinato un gentilissimo signore che si è offerto di darci indicazioni per raggiungere la nostra meta, l’Ostaria Al Diavolo e l’Acquasanta (S. Polo 561/b – +39 041 2770307 – hostariaacquasanta@gmail.com).
Non ci abbiamo messo molto a raggiungerla, ma prima abbiamo attraversato uno dei simboli di Venezia, il meraviglioso Ponte di Rialto. Dato che avevamo i tempi un po’ stretti abbiamo preferito farlo all’esterno per ammirare il panorama sul Canal Grande ma anche per scansare la folla che si assiepa davanti ai negozi collocati nella parte interna.
Doveroso il selfie davanti a questo capolavoro formato da un arco che unisce le due sponde sormontato da 24 arcate, per cui furono presentati progetti dai più famosi architetti del tempo, come Palladio e Michelangelo, ma fu premiato quello del poco conosciuto Antonio Scarpagnino.
Pochi metri ci separano dal nostro pranzo. Che siamo nel posto giusto per assaggiare i cicheti e la vera cucina veneziana lo capiamo dal fatto che il locale non è frequentato dai turisti ma affollato di gondolieri e clienti abituali.
La signora, sorridente e cordiale, ci serve subito un bicchiere di vino bianco fermo, cicheti a base di baccalà, fior di zucca e sarde, tutto rigorosamente fritto, e uno squisito fegato alla veneziana.
Ma non possiamo lasciare Venezia così, senza raggiungere Piazza San Marco. Prima merita una deviazione in Campo San Fantin su cui troneggia la magnifica facciata in stile classico del teatro de La Fenice costruito nel 1792 e poi segnato da una serie di incendi, fino all’ultimo nel 1996 dal quale è risorto proprio come il mitico uccello rinasce dalle proprie ceneri.
Poi… l’incanto! Quello che si prova varcando gli archi dell’Ala Napoleonica delle Procuratie Nuove che si aprono sulla piazza che Napoleone Bonaparte definì “il salotto più bello d’Europa”. Di fronte la Basilica di San Marco che brilla sotto il sole tra l’oro dei mosaici e quello del leone sul portale maggiore, con le bianche cupole bizantine che si stagliano sul cielo azzurro. Con questa immagine da cartolina negli occhi abbiamo salutato Venezia.