La “nostra” Expo

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Expo

Finalmente siamo in grado di parlare anche noi della “nostra” Expo. Abbiamo visto moltissimo in poche ore, un concentrato di colori, segni, suoni, parole e folla, tanta folla. Riuscire a decifrare tutto ciò che abbiamo assimilato in un solo giorno, in cui in poco più di otto ore abbiamo compiuto il giro del mondo, non è stato semplice. Abbiamo avuto bisogno di prenderci il giusto tempo per far decantare tutto e dare la nostra opinione su ciò che abbiamo visto e sulle sensazioni che abbiamo provato.

A Milano per l’Expo

Sin da subito, appena varcata la porta ovest, abbiamo deciso di non fare code troppo lunghe per visitare i padiglioni più “gettonati”, ma di provare a vedere più zone possibili, dedicando tempo alle visite dei Cluster in cui Paesi diversi, ma accomunati da identità tematiche e alimentari hanno condiviso lo spazio. In questo modo siamo davvero riusciti a compiere una sorta di circumnavigazione del globo in una giornata facendoci incantare dai racconti e dalle preparazioni culinarie e dai sapori, dai colori, dai profumi e soprattutto dalle persone, che hanno animato questi grandi stands comuni.
Ora, però, tornati a casa con il passaporto Expo dai timbri colorati dei Paesi partecipanti e a mente fredda, possiamo tirare le somme. Di ciò che è stato sicuramente un risultato positivo, ma anche del messaggio, quello centrale dell’Expo di Milano, “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” che non è del tutto passato e non è stato recepito nel modo migliore, soprattutto dalle nuove generazioni.

Tra le scommesse vinte c’è senz’altro quella dell’organizzazione che ha richiesto sforzi enormi ma, a parte le interminabili code di gente delle ultime settimane, non ha registrato incidenti. Un altro successo il clima positivo che ha impedito tensioni nonostante le lunghissime attese all’entrata dei padiglioni e non solo a quelli noti come Italia e Giappone. E se il successo non si misura soltanto contando i numeri dei visitatori, è anche vero che questi sono stati impressionanti. E le nostre notizie, al di là di ciò che è stato comunicato ufficialmente, si basano anche su una fonte diretta, quella di mio fratello che si occupa di analisi e monitoraggio dati in qualità di Corporate strategic planning presso l’ATM (Azienda Trasporti Milanesi): i numeri sono stati in continua crescita e davvero enormi ogni giorno man mano che si avvicinava la chiusura del grande evento. E perfino noi che ci siamo stati il 22 ottobre, un giovedì che ha registrato meno ingressi rispetto a tutti gli altri giorni seguenti, siamo stati investiti da fiumane di persone che affollavano il Decumano e che viste dall’alto parevano tante piccole formiche colorate.

Cosa secondo noi l’Expo non è riuscito a trasmettere? Avrebbe dovuto rappresentare la vetrina a livello mondiale per le coltivazioni biodiverse, la buona cucina contadina, la produzione alimentare sostenibile, il trionfo di tutti coloro che dedicano il loro lavoro al recupero delle tradizioni con un occhio all’innovazione: insomma il good food. Ma questo, come ben sappiamo, è stato tradito sin dall’inizio. Però vedere di persona intere scolaresche su panchine e finti prati divorare panini targati Mac Donald’s e tracannare Coca Cola, invece che farsi incuriosire e magari conquistare dal cibo sano e anche “diverso” disponibile ovunque, è stata la prova del nove che qualcosa nel messaggio iniziale non è andato a buon fine.
Un’altra impressione non proprio positiva è stata quella legata al fatto che l’Expo avrebbe dovuto essere universale, ma nei fatti non lo è stata. Tra le assenze si sono certamente distinti i Paesi del Nord Europa, come Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca, che hanno disertato la manifestazione causando la mancanza di un’importante pezzo d’Europa.

Ma adesso vi raccontiamo ciò che di questa imperdibile manifestazione ci ha emozionato e ci è rimasto “addosso”. Abbiamo già accennato ai Cluster. Il primo, percorrendo il Decumano da ovest verso est è quello del riso: a questa importantissima fonte alimentare che nutre più di tre miliardi di persone è stato dedicato uno spazio in cui si è voluto ricreare una risaia in miniatura. Come una vera e propria foresta di gusto e sapore è stato organizzato il cluster di cacao e cioccolato. Qui non abbiamo potuto fare a meno di degustare “il cibo degli dei”: il nostro preferito? Quello con all’interno pezzettini di fave di cacao di Sao Tomé Principe. Il rammarico? Non poterne fare scorta dato che la nostra era l’ultima tavoletta! Dopo il cioccolato immancabile l’appuntamento con la tazzina di caffè mettendo a confronto il nostro Illy con quello prodotto in Africa assaggiando quello del Burundi.
Slalom veloce tra le pergole del cluster frutta e legumi, mentre più tempo abbiamo voluto dedicare al viaggio tra le spezie dove nello spazio dedicato all’Afghanistan, tra bacheche di vetro sospese e tappeti appesi alle pareti, l’ottantanovenne Mohamed Azim Naimzada faceva annusare lo zafferano del suo paese e timbrava pazientemente le pagine dei passaporti Expo.
Organizzato come una grande piazza aperta il cluster Bio Mediterraneo in cui pacificamente e operosamente per tutti i 184 giorni dell’Expo hanno convissuto Albania, Algeria, Egitto, Grecia, Libano, Malta, Montenegro, San Marino, Serbia e Tunisia. Molto suggestivo il percorso espositivo delle “Zone Aride”, mentre un vero tuffo nel passato è stata per noi la visita al cluster Isole, Mare e Cibo che ci ha riportato al nostro viaggio nell’Isola di Saint Lucia che tanti ricordi ha risvegliato in noi soprattutto dopo che la gentilissima hostess ci ha offerto un bicchierino di profumatissimo rhum.

Il nostro giro è finito tra i profumi della Piazza della Biodiversità Slow Food e tra il verde della Collina Mediterranea, uno dei punti panoramici dell’Expo in cui passeggiare in un bosco di sugheri, lecci, cipressi e roverelle. Le nostre soste golose? Pranzo a base di asado, carne alla griglia, nel padiglione Argentina dove senza attendere molto abbiamo anche trovato posto a sedere, e merenda presso il divertente padiglione della Slovacchia con i trdelník, un tipico dolce che prima della cottura viene modellato come un lungo filoncino e arrotolato attorno a un bastone metallico che viene poi messo a cuocere in uno speciale forno con un meccanismo che lo fa ruotare: una bontà assaggiata tempo fa a Praga e riassaporata nel tiepido pomeriggio milanese seduti alle comode panchine del Qatar: potere di Expo!