Galatone è una cittadina molto interessante, un piccolo gioiello quasi nascosto nell’entroterra ionico del Salento. Nonostante il terremoto che nel 1743 causò numerose distruzioni in paese, è ancora oggi evidente l’impianto medievale del borgo, anche se delle antiche mura si conserva solo qualche tratto insieme alla graziosa porta cinquecentesca dedicata a San Sebastiano, unica sopravvissuta delle tre esistenti in origine, sulla quale si staglia la statua del protettore della cittadina, eseguita in pietra leccese nel 1859 da Pantaleo Larini.
Il nome del borgo deriverebbe dal termine greco “gála” che significa “latte”, origine evidentemente legata alla pastorizia, o dal nome greco di famiglia “Galatos”. I primi insediamenti nel territorio risalgono al periodo Neolitico, come testimoniato dai reperti rinvenuti nel “Villaggio Costante” sulla Serra Campilatini e nella grotta Pinnella.
Tra chiese, palazzi e ville eclettiche
Durante il medioevo, Galatone subì diverse dominazioni, tra cui quelle di Saraceni, Ungari e Bizantini, passando poi di mano in mano a diversi feudatari. Il terremoto del 1743 interessò anche il Palazzo Marchesale, sede dei signori di Galatone, così del suo splendore restano oggi solo il portale e le eleganti finestre decorate con motivi floreali e mascheroni.
La facciata superstite ospita i blasoni delle famiglie feudatarie che si sono succedute: Squarciafico, Pinelli, Pignatelli, Grillo. L’adiacente torre quadrata è invece più antica e fu annessa al palazzo a scopo di difesa e di repressione.
Ma la vera opera d’arte in paese è il Santuario del Santissimo Crocifisso della Pietà, alla cui costruzione parteciparono varie maestranze salentine tra cui Giuseppe Zimbalo e che fu eretto tra il 1683 e il 1696 sulle rovine di un preesistente tempio realizzato sessant’anni prima e crollato nel 1683.
Testimonianza di architettura tardobarocca, presenta una facciata davvero monumentale, con molti ed elaborati decori di richiamo rococò e numerose nicchie con statue dei santi.
La facciata, in carparo e pietra leccese, è divisa in tre ordini: la zona centrale del primo ordine è occupata dal pregevole portale ligneo intagliato, mentre lateralmente e negli altri due ordini si susseguono le statue dei santi evangelisti, di S. Pietro apostolo e di S. Paolo, di S. Sebastiano e di S. Giovanni Battista, dell’Angelo Custode e di S. Michele Arcangelo. Sopra il portale si può ammirare un Crocifisso osannato da quattro cherubini.
Anche l’interno di questa chiesa a croce latina è molto fastoso, con un bel soffitto ligneo a cassettoni formato da 60 tessere ottagonali dorate e scolpite. Nel transetto si innalza una cupola ottagonale sostenuta da quattro pilastri e con quattro nicchie che ospitano le statue di S. Agostino, S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Gregorio.
È infine ricco di affreschi a cominciare dalla cupola impreziosita dal dipinto del Ritrovamento della Croce da parte di Sant’Elena Imperatrice e ha anche un altare maggiore molto scenografico decorato con colonne tortili e bassorilievi che rappresentano le virù cardinali e che custodisce un frammento del Santissimo Crocifisso della Pietà del XIV secolo, un’antica icona ritenuta miracolosa.
Lasciandosi il centro di Galatone alle spalle e proseguendo verso Gallipoli, l’attenzione non può non essere calamitata dai colori e dalle forme di grandi edifici che spiccano in contrasto con l’azzurro del mare e del cielo. Si tratta di un patrimonio architettonico unico che comprende splendide ville di gusto eclettico, incantevoli teatri naturali ora magnifici e imponenti, a volte leziosi e ricchi di ricami in pietra come vecchi merletti.
Percorrendo questa strada, lo sguardo vaga lontano tra alte palme e trionfi di decori in pietra leccese plasmata dalle abili mani dello scalpellino Nicola Stapane, detto Billino, che impreziosiscono le Ville Malerba e Cataldo, oggi Nisi, per immaginare gli avvenimenti che si sono susseguiti nel tempo all’interno di questi meravigliosi edifici.
E quasi si sentono i passi pesanti degli ufficiali e dei soldati polacchi delle forze venute a liberare l’Italia dall’oppressione fascista ma che in quel terribile inverno del ’43, uno dei più freddi del secolo, si stanziarono a Villa Fusaro bruciando l’intera biblioteca e il mobilio per scaldarsi.
Spostandosi nuovamente in paese, altre storie delle quali a Palazzo Arbia–De Paolo è muto testimone un cesto in vimini che serviva ai signori per pagare senza dover scendere in cortile i contadini che raccoglievano i fichi che in un tempo non molto lontano fecero la fortuna della famiglia. Altre sembra ne sussurrino le fronde all’interno del bel giardino chiuso e nascosto di Palazzo Leuzzi, così come “parlano” con stucchi e colori delicati le sue ricche sale affrescate.
Qui il Salento non è solo “lu sule, lu mare, lu ientu”.