Enzo Toma, artista plastico e poliedrico

IncontriEnzo Toma, artista plastico e poliedrico
spot_imgspot_imgspot_img

 

Enzo Toma: quando abbiamo cercato notizie sul suo percorso per poter preparare l’intervista, la prima che è emersa è che è considerato il maggior esperto in Italia di teatro del disagio. La seconda è che vive da ben 25 anni a Conversano: davvero strano non esserci mai incontrati prima!
Fatte le dovute presentazioni, compreso il nostro Otto, ho cominciato a rivolgergli le domande mentre Michele si è dedicato a fotografare la nostra chiacchierata.

Enzo Toma tra danza, teatro e arte

Enzo Toma

Ci dai una definizione di teatro del disagio?
Mi sono trovato del tutto casualmente a lavorare con attori diversamente abili con handicap mentale e psichico. È importante sottolineare la differenza. Chi ha un ritardo mentale presenta disturbi dello sviluppo intellettivo, mente i problemi psicologici non sono connessi alle facoltà intellettive ma si manifestano nella difficoltà di partecipare alla vita sociale e di entrare in relazione con gli altri e anche questo può comportare una diminuzione delle capacità cognitive. In molti casi le due patologie si sovrappongono per cui non risulta facile distinguerle. Mi sono dedicato a questo teatro a Torino, dove da ragazzo mi ero trasferito con la mia famiglia. Ed è stato lì che ho cominciato a fare le mie prime esperienze come insegnante d’appoggio e a occuparmi di corsi con i diversamente abili a livello mentale organizzati dal C.T.S, il Comitato Tecnico Scientifico degli operatori socio sanitari del quartiere Mirafiori. Ma in realtà la mia prima passione è stata quella per la danza e a Torino ho frequentato la prima scuola di danza contemporanea d’Italia intitolata a Bella Hutter fondata da Anna Sagna mentre ho approfondito la mia formazione teatrale con maestri del calibro di Gian Renzo Morteo, considerato il padre del Teato Stabile di Torino.

Ci parli delle tue esperienze?
Le mie esperienze mi hanno portato lontano. Quando mi hanno offerto di venire in Puglia a dirigere il Teatro Kismet a Bari non ci ho pensato due volte. È successo tra il 1988 e il 1989 e già meditavo di lasciare Torino, una città che mi intristiva e che sin dal mattino mi metteva a contatto con gente irritata e scorbutica. A Bari, non solo ritornavo alle origini visto che sono pugliese originario di San Severo, ma mi sono ritrovato al cospetto di una citta luminosa, affacciata sul mare e con gente solare e accogliente. E sono ancora convinto che la Puglia sia una delle regioni più empatiche della nostra penisola. La mia collaborazione con il Kismet mi ha portato anche a Tokyo e su di me è stata redatta una tesi discussa al DAMS di Bologna.

Quanto di queste esperienze finisce nelle tue opere di pittura e scultura che ora sono in mostra a Bari presso il Centro Polifunzionale Studenti dell’Università?
Tutte. Perché sia la danza che il teatro sono un racconto fisico. Come diceva Carmelo Bene il teatro è l’essere nell’atto. E la condizione artistica dell’attore non è quella di gestire l’apparenza ma appunto di essere: azione e parola coincidono. Ed è lo stesso pensiero presente quello che inserisco nelle mie sculture.
Le mie opere, in cui ho utilizzato le ali di un mio lavoro teatrale plasmandole poi con la cera, non sono astratte ma hanno una radice naturalistica e raccontano la plasticità del corpo proprio come danza e teatro ne esaltano l’eleganza del gesto, e possono essere considerate istallazioni teatrali e scenografie concentrate in un corpo.
Per i quadri invece galeotto è stato l’incontro alle bancarelle del mercato dell’usato, di cui sono un assiduo frequentatore, con il maestro iconografo Castellana che mi ha insegnato la tecnica delle icone bizantine.

Il processo della realizzazione delle icone è molto affascinante. Ce lo racconti?
È lungo e laborioso: le mie icone pur essendo contemporanee si basano su tecniche antiche che prevedono numerosi passaggi.
Si utilizzano tavolette di legno di tiglio o di abete su cui si fissa una tela di lino o di cotone con la colla di coniglio. Si stendono poi ben sette strati di colla di coniglio alternata a gesso di Bologna. Preparata così la tavoletta dell’icona si passa alla parte grafica, cioè al disegno che viene trasferito, in maniera tradizionale con un foglio sul quale l’immagine è contornata da piccoli fori sui quali si passa un tampone di carbone o, in modo più rapido, attraverso una carta copiativa. Sul disegno si passa poi un’argilla ferrosa chiamata bolo d’Armenia che viene poi ricoperta con la colla di coniglio. Si conferiscono poi i colori con la foglia oro, tipica delle icone, e la tempera all’uovo che si ricava dal tuorlo misto ad aceto nelle stesse proporzioni e con una goccia d’acqua. La parte finale, quella che regala lucidità all’opera, si ottiene con la gomma lacca decerata sciolta nell’alcol a 90 gradi.

Danzatore, attore, regista, e artista, discipline diverse che si intrecciano e si alimentano l’una con l’altra: quale rappresenta di più Enzo Toma?
Ognuna rappresenta un aspetto, ma il teatro è effimero e ha bisogno degli altri, invece si può dipingere da soli così come creare opere plastiche che non definirei sculture in quanto non ho mai preso in mano uno scalpello per modellare il legno o il marmo.

Quali sono i tuoi artisti preferiti e a chi ti ispiri per i tuoi lavori?
Mi piacciono molto i dipinti di Lucian Freud e l’idea differita che comunicano e che è tutto il contrario della supponenza e della tristezza che molti vedono nei suoi soggetti.

ori

Perché hai intitolato la tua mostra “Gli ori di Enzo Toma”?
Perché le mie icone sono immerse nell’oro e nel blu, colori che riportano al sole, al cielo e al mare. E i più luminosi di tutti, dove il tocco di rosso è visto quasi come un intruso.

I tuoi progetti futuri?
Mi sta appassionando l’arte pittorica di De Nittis e la sua abilità nello sfumare su tela i gessetti: gessetti e sfumini saranno la mia prossima sfida.

Perché hai scelto di vivere e lavorare nella nostra Conversano?
Ho vissuto a Bari vecchia in una piccolissima casa, ma quando abbiamo deciso di allargare la famiglia abbiamo pensato che rimanere lì sarebbe stato impossibile in quanto non vi era spazio né per pance gravide né per carrozzini. Così un mio amico mi parlò di una casa in affitto a Conversano affacciata sulla piazza della Cattedrale. Mi piacquero molto dimora e paese e cosi dal 1998 vivo qui dove ho realizzato e proposto molti miei lavori teatrali. Le mie opere di artista plastico, come amo definirmi, sono invece esposte presso l’atelier in Largo Cattedrale ospitate dalla Fondazione D’ARTI.

Scopri Bibibau con noi

Rosalia
Rosalia
This travel blog with the dog is a personal selection of our best experiences, our favorite spots and secrets places around the world curated by Rosalia e Michele.

ARTICOLI CORRELATI

Scopri Bibibau con noi

Scopri i prodotti Mediterrah

ULTIMI ARTICOLI

IJO’ Design: a spalle coperte

IJO’ Design è un brand salentino che fa realizzare artigianalmente mantelle, scialli e stole,...

Belle storie di penna

La penna è per me un fondamentale strumento di lavoro, perché da sempre preferisco...

Moskardin: appunti di viaggio

Moskardin è il nome di un elegante quaderno di viaggio di produzione artigianale e...

Recycle: l’arte del riciclo per i bijoux

Quando si va in vacanza si ha voglia di portare con sé qualche accessorio...

Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Error decoding the Instagram API json