Daniele Kihlgren: quando nel 2011 abbiamo trascorso la nostra prima vacanza al Sextantio di Santo Stefano di Sessanio tutti ce ne parlarono in termini entusiastici. Lui già a metà degli anni ’90 aveva considerato le potenzialità di questo borgo medioevale arroccato nel Parco del Gran Sasso a 1.250 metri sul livello del mare, completamente abbandonato negli anni ’50 e che proprio per questo aveva conservato intatta la sua “anima”. E ne aveva voluto mantenere l’identità attraverso un meticoloso lavoro di recupero e di restauro. Ripreso dopo il rovinoso terremoto del 2009 che fece crollare la torre simbolo del borgo.
Il nuovo progetto di Daniele Kihlgren
E così abbiamo conosciuto noi Santo Stefano di Sessanio, ferito e con qualche botteguccia aperta e animata da chi nonostante tutto non aveva voluto abbandonare il piccolo paese rinato grazie a Daniele, come affettuosamente lo chiamano qui. L’impressione che ne avemmo allora fu di un luogo rimasto fermo nel tempo, con le pietre delle case che emergevano nella neve che con la bianca coltre attutiva i suoni e rendeva tutto ancora più silenzioso. E le fiammelle delle candele e la legna che ardeva nei camini a illuminare le suites del Sextantio sparse per il cuore del borgo.
Non riuscimmo però a incontrare lui, Daniele Kihlgren, con cui ci sarebbe piaciuto parlare per apprendere dalle sue parole le ragioni del suo innamoramento per questo luogo così lontano dal suo mondo.
Ci siamo riusciti, del tutto casualmente, durante la nostra ultima vacanza al Sextantio. Michele mi ha voluto regalare un soggiorno in questo borgo a distanza di 11 anni dal precedente. Anche questa volta l’occasione è stata il mio compleanno che cade tra Natale e Capodanno. È cambiato nel frattempo il nostro compagno peloso: ci eravamo stati con Arturo mentre a dicembre scorso ci siamo tornati con Otto.
Ed è proprio grazie a lui che abbiamo conosciuto Daniele Kihlgren da sempre amante dei cani. Anche lui a Santo Stefano per trascorrere qualche giorno di vacanza nella sua prima “creatura”, seguita negli anni dall’albergo diffuso Le Grotte della Civita a Matera e dall’ultimo Progetto Capanne in Rwanda.
Abbiamo cominciato a chiacchierare davanti al magnifico camino della tisaneria ricavata nel Cantinone, una volta adibito a luogo in cui conservare le derrate alimentari. La storia di Daniele Kihgren è molto interessante e per chi la volesse approfondire è disponibile in libreria la sua autobiografia “I tormenti del giovane Kihlgren”, di cui quest’anno è prevista la seconda edizione. Noi chiacchierando abbiamo trovato molti punti in comune: dall’Università a Milano ai periodi trascorsi a Napoli. E anche la stessa visione riguardo turismo e rispetto del territorio: “Il vero valore aggiunto dei nostri alberghi diffusi – ci ha detto – è la reciproca integrità tra il territorio e il suo patrimonio storico culturale. Non possiamo lasciare che il turismo rovini i luoghi che raggiunge”.
Nella primavera dello scorso anno ha avviato il Progetto Capanne, con un modello di albergo diffuso per la prima volta applicato in Africa i cui incassi andranno alla ONG che ha messo in piedi con i guadagni di Sextantio e che si occupa di fornire l’assicurazione sanitaria a migliaia di poveri del Rwanda, che non hanno i quattro dollari all’anno necessari per la polizza che garantisce le cure contro malattie ancora letali come il colera e la malaria.
Mentre lo riporterà in Abruzzo il prossimo progetto di cui ci ha parlato proprio a Sextantio accarezzando il nostro Otto e citando Gandhi: “La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali”.
Si tratta di un presidio zooantropologico in un giardino pubblico, in termini più semplici un canile rifugio, in provincia di Pescara nel Comune di Spoltore, lo stesso in cui si trasferì per gestire un podere di famiglia prima di rimanere “folgorato” dal borgo di Santo Stefano di Sessanio e fondare Sextantio.
1) A parte l’amore per i cani, Bulldog in particolare che spesso sono diventati tuoi compagni di vita salvati proprio dai canili, cosa ti ha spinto a pensare di creare una struttura di questo tipo proprio in Abruzzo?
In Abruzzo, dove sono di casa dal 1994, proprio a Spoltore ho un terreno di proprietà in cui l’attività di famiglia era accanto al canile e in campagna ho tenuto fino a 20 cani tutti adottati. Ma questo è solo il primo motivo. Perché è da tempo che penso di realizzare un canile modello riflettendo su quella che è la condizione di queste strutture in Italia, che pur rimane uno dei pochi Paesi al mondo ad aver approvato una legge, la 281/91, che vieta di mettere a morte i cani dentro le strutture di accoglienza. Il problema allora qual è? Che come altre iniziative legislative italiane motivate da ottime intenzioni nella realtà si scontrano con le inefficienze tipiche della nostra organizzazione politica territoriale. Le conseguenze? Canili sovraffollati e soprattutto un grave conflitto di interessi riguardo i canili a gestione privata interessati a tenere il maggior numero di cani e a non farli adottare.
2) Cosa differenzierà questo canile rifugio dagli altri?
Il progetto che noi proponiamo è la donazione al Comune di Pescara di un terreno per proporre un luogo con due essenziali finalità: l’adozione dei cani e il loro benessere durante la permanenza nel rifugio seguendo il progetto di un etologo internazionalmente conosciuto, il Prof. Marchesini.
Oltre a un numero massimo di cani che non potrà essere superato verrà seguito un progetto specifico sulla base di competenze in ambito comportamentale/cognitivo/emozionale dei cani.
3) A quale modello ti ispiri?
Il canile dovrà garantire agli ospiti un’alta qualità della vita durante la permanenza sempre finalizzata all’adozione, ponendo una grande attenzione a quei cani con scarsa possibilità di essere accolti, come quelli molto anziani o con disabilità.
4) Quali saranno i valori aggiunti di questo luogo in relazione al territorio?
La struttura avrà un rapporto osmotico con il territorio e verrà fruita dalla popolazione per passeggiate nel giardino botanico, dove si prevede l’area del birdgarden con essenze che richiamano gli uccelli, per vedere i cani, ma anche per portare i propri cani nell’area mobility. Naturalmente saranno presenti un ambulatorio veterinario, un’area di accoglienza dei visitatori, una per la degenza post-operatoria e una zona quarantena per i nuovi ingressi, oltre ai box e ai campetti recintati.
5) In chiusura Daniele speri che possa diventare un progetto pilota per cercare di arginare il grave problema di randagismo che affligge soprattutto il Sud Italia?
Negli ultimi tempi il randagismo in Abruzzo è diventato un fenomeno sotto controllo rispetto agli anni ’90. Sicuramente mi auguro possa divenire un modello replicabile nel centro sud per incentivare le adozioni consapevoli, ma l’ideale sarebbe ispirarsi alla legge in vigore in California che impone ai negozi di vendere solo cuccioli provenienti da rifugi pubblici e dai canili delle organizzazioni di volontariato.
Mi fa pensare a quanta rinascita portano progetti del genere… e quanto lavoro possono generare. Ok, diciamo che magari c’erano già dei terreni di proprietà, però anche se li hai non è che tiri fuori tutto dal niente come con una bacchetta magica. Devi mettere in moto una rete, coinvolgere, sostenere, convincere. Libertà nell’immaginazione e montagna da scalare nella pratica.
A quanto pare, però ci si riesce, fa esempio e addirittura sostiene progetti di sviluppo in Africa 🤔
Daniele è stato una bella scoperta già undici anni fa quando scoprimmo il suo progetto Sextantio scegliendolo per una breve vacanza tra Natale e Capodanno.
Ed è stato ancor più bello sapere che non si è mai fermato continuando con Le Grotte della Civita a Matera e il Progetto Capanne in Rwanda.
Ma a noi non poteva non parlare in anteprima di ciò che gli sta molto a cuore: la realizzazione di un canile modello proprio nel luogo dove tutto è cominciato. E chi poteva fare da anfitrione se non il nostro Otto?
Anche il botolone bianco è mica male… 😉
Il Bulldog è un cane che mi piace moltissimo. Ma a Michele non troppo… 😌