Di Calcata avevamo sentito spesso parlare insieme a Civita di Bagnoregio. Infatti, questi due borghi, entrambi abbarbicati sulle rupi di tufo che caratterizzano il paesaggio della Tuscia viterbese, sono accomunati dall’appellativo “il paese che muore” a causa degli spopolamenti avvenuti nel tempo per i frequenti crolli.
Un weekend alla scoperta del borgo
Ma poi nel tempo Calcata Vecchia, abbandonata dai suoi abitanti che si sono insediati a poca distanza in un centro moderno chiamato Calcata Nuova, è rinata grazie a un gruppo di persone, tra artisti, artigiani e intellettuali, provenienti da tutto il mondo che l’hanno scelta come loro dimora. Dunque oggi Calcata è divisa in due: nella vecchia vivono i “nuovi” abitanti, nella nuova, i nativi.
La storia è questa. Calcata, insediamento che all’epoca dell’imperatore Adriano era un centro di produzione agricola al servizio di Roma, ha iniziato a spopolarsi nei primi anni del 1900 a causa dei continui crolli della rupe tufacea. E in epoca fascista ha rischiato di sparire per un regio decreto del 1935 che ne voleva la demolizione, data l’instabilità della montagna su cui poggia e da cui domina la valle del Treja.
Ma negli anni Settanta dello scorso secolo il borgo fu “invaso” e occupato da artisti giunti da Stati Uniti, Belgio e Olanda, che scelsero Calcata Vecchia come buen retiro dove vivere fuori dal caos e aprire una bottega. Fino agli anni Novanta i nuovi abitanti, che si sono occupati di ristrutturare e consolidare le fondamenta delle case, sono stati considerati abusivi, ma poi è stato emanato un decreto legge che ne ha sancito l’abitabilità. Tra i primi a trasferirsi a Calcata nel 1973 l’architetto Paolo Portoghesi, che per il paese ha realizzato il giardino e una biblioteca.
Una volta varcato l’arco, si viene avvolti da un’atmosfera magica, senza caos e frenesia e proiettati in un’epoca senza tempo. Perché in realtà Calcata si presenta oggi come un centro di sperimentazione urbana, sociale e culturale, come ci hanno spiegato durante le nostre passeggiate coloro che hanno scelto di vivere qui più di 40 anni fa e che ne hanno fatto uno scrigno di arte, natura, pace e buon vivere a 40 chilometri da Roma. Tanto che nel 2018 ha ottenuto la bandiera arancione del Touring Club, il marchio di qualità turistico ambientale per l’entroterra.
Vi si affaccia la Chiesa del SS. Nome di Gesù dove, in un prezioso reliquiario cinquecentesco era custodita una singolare reliquia. E qui storia e leggenda si intrecciano indissolubilmente venendo addirittura citate da James Joyce nell’Ulisse e da Stendhal in Le chiavi di San Pietro. Si trattava del prepuzio di Gesù bambino consegnato, si dice, a Carlo Magno da un angelo. L’imperatore poi affidò la preziosa reliquia al Sancta Sanctorum del Laterano, residenza medievale dei papi.
Oltre alla chiesa, a dominare piazza e borgo è il Palazzo Baronale appartenuto alla nobile famiglia degli Anguillara che ospita gli uffici del Parco regionale della Valle del Treja.
I sentieri dal borgo conducono fino al passaggio sotterraneo della porta Segreta, via di fuga durante gli assedi, e si immergono nella valle del Treja con itinerari accessibili e perfetti per escursioni e trekking anche con i compagni a quattro zampe.
Per cui abbiamo ammirato chi come Luca ha deciso di aprire il suo Alkimie Coffee & Wine, dove insieme al nostro Otto abbiamo fatto colazione ogni mattina e gustato l’aperitivo sul terrazzino a strapiombo sulla forra durante il nostro soggiorno. Ed è ancor più apprezzabile il progetto tutto al femminile Opera Calcata (di cui vi parliamo qui) che si rivolge a un turismo consapevole capace di amare il paese così come fanno i suoi abitanti “adottivi”.